Storie di un calcio piccolo: la rubrica settimanale di Riccardo Lorenzetti

Un po’ Highbury, un po’ sferisterio e molto Craven Cottage. Questo era il vecchio “Anelio Tempora” di Bettolle,  almeno fino a quando ci hanno giocato a pallone.

Piazzato quasi in mezzo al paese, sotto lo sguardo austero dell’edificio scolastico; con i tre gradoni in cemento dall’effetto quasi “verticale” sul campo e quel muraglione a un metro e mezzo dalla linea laterale che le norme di sicurezza hanno poi reso improponibile. 

Sotto quel muraglione (ovviamente in mattoni) gli Dei della Valdichiana hanno depositato, negli anni, uno strato imponente di sapere calcistico: e vi hanno raccontato la storia della leggendaria “Coppa Tempora”. Che fu, per tutti noi, la prima volta che ci vedemmo passare davanti il “calcio vero”.

Il “calcio vero” in un tempo dove il “calcio vero” non lo avevano nemmeno inventato; perché quello che conoscevamo noi, in provincia, era piuttosto una roba fangosa, e abbastanza truce. Uno spettacolo da gladiatori, da seguire con il coltello tra i denti e la radiolina all’orecchio.

Che potesse essere anche un prato di erba verdissima appena tagliata, e i riflettori accesi per farlo sembrare un biliardo, beh… A quello non ci aveva pensato nessuno. E furono, infatti, i nostri primi “sogni di notte, di coppe e di campioni”, in netto anticipo anche su Antonello Venditti.

Ecco.

Il Torneo di Bettolle fu il nostro Mondiale in miniatura.

Fu un’ideale posto delle fragole per almeno due generazioni di calciatori, con quel “Io ho giocato il Torneo di Bettolle” che scappava fuori ad ogni occasione, e sembrava quasi una medaglia da appuntarsi al petto. Una frase ad effetto alla quale bisognava aggiungere un sospiro e l’altrettanto classico “…Quando giocare a Bettolle non era da tutti.”

A ribadire l’appartenenza ad una lontana, e mitologica, età sportiva dell’oro: dove Bettolle, e il suo torneo, rappresentava evidentemente una specie di perduta Atlantide.

E come tutti i poemi epici che si rispettino, anche il Torneo di Bettolle si è nutrito per anni di leggende: alcune vere, altre inventate di sana pianta ma che finivano per accrescerne il fascino.

Leggende vere, come quella del Presidente della Sansovino e della sua folle corsa contro il tempo fino a Trento, per recuperare il suo centravanti che deve arrivare in tempo per la finale con il Cortona. E poi quella Ferrari, trionfale e strombazzante, che fende due ali di folla ed entra quasi negli spogliatoi, quando mancano cinque minuti all’inizio della partita.

E’ l’estate del 1974, ed è un’immagine che fa tanto “Il Sorpasso”, con Gassman e Trignignant… Il centravanti in questione si chiama Marcello Scali, ed è così bravo che un giorno giocherà nella Spal, in serie B. Il Presidente che viaggia in Ferrari, invece, è il grande Alvaro Salvadori, ed è uno dei tanti nuovi ricchi che si stanno appassionando al calcio, e vi riversano cifre impensabili.

Fino a quel momento, i “benefattori” di paese hanno obbedito, più che altro, ad una specie di dovere sociale: il cavalier Vitolo, proprietario di fornaci,  costruisce a proprie spese una sala da ballo per allietare il dopolavoro dei propri operai. O lo stesso Arrigo Tempora, che considera la presidenza del Bettolle niente più di un impegno istituzionale: e quando qualcuno si azzarda a chiedergli un parere tecnico, il capitano d’industria alza le spalle e fa una smorfia. E deve ammettere di non aver mai visto una partita in vita sua.

Ma i tempi stanno cambiando, e per vincere quel favoloso torneo non si bada a spese.

Diventano proverbiali le famose “centomila lire a partita”,  talmente allettanti da ingolosire anche i professionisti che giocano nel Siena, nell’Arezzo, nel Montevarchi e oltre.

Scali, come detto, milita nel Trento, e poi nella Spal, in serie B. Ma anche la gloria locale Rolando Marchetti, che gioca nella Ternana, o Antolovic, celebrato cannoniere di una squadra di serie C dal nome strambo e misterioso, la “Elettrocarbonium”… La squadra di Torrita arriva ad ingaggiare il grande Franco Nanni, campione d’Italia con la Lazio di Maestrelli.

Sono gli anni settanta, e la Valdichiana si è scoperta improvvisamente ricca. Le fornaci danno lavoro ad un migliaio di persone, i mobilifici faticano a star dietro agli ordinativi e un po’ ovunque spuntano, come funghi, i nuovi capannoni.

Non esiste la disoccupazione: anzi, nel furore produttivo dell’epoca stanno scomparendo anche le casalinghe “angeli del focolare”… Chi ha vissuto quegli anni ricorderà lo sferragliare incessante dei telai meccanici come una specie di colonna sonora delle case della Valdichiana: guanti, polsini, colletti e altri accessori che qualcuno, poi, assemblerà nelle fabbriche di Prato. Perché il tessile è una locomotiva inarrestabile, e macina utili da capogiro.

La “Coppa Tempora” è il nostro Mundial in miniatura: Castiglion Fiorentino, Foiano, Monte San Savino, Pozzuolo Umbro si svuotano per incitare la propria squadra… Chi una squadra non ce l’ha, come il Guazzino, ingaggia in blocco l’intera rosa (o quasi) della Sinalunghese. Ma non basta, perché sulla loro strada troveranno il favoloso Cortona di Boncompagni, che li batterà nella finale del ‘71. 

Boncompagni è uno dei campioni più applauditi: al pari di Federigo Moscadelli, o Alfiero Brandini. Giocatori indimenticabili come Benvenuto e Pazzaglia, Tralci e Taddei: Sergione Fedi (“il numero uno dei numeri uno”) e Carlo Guidarelli, che si cimenterà, e bene, anche come giornalista sportivo. Il calciatore che alza la Coppa del 1966 per la Sinalunghese è nientemeno che Carlo Buffi, che sarà tra i più grandi ginecologi in ambito nazionale. Accanto a lui c’è Carlo Caroni, che di lì a poco diventerà l’allenatore più vincente della Toscana.

Le ragazze, invece, spasimano per Lele Corradi e per Massimo Maccari, che sono giovani, bravi e anche belli; quasi come gli attori dei fotoromanzi Lancio, che vanno tanto di moda.

Intanto, nascono altre leggende che ingigantiscono il prestigio del torneo.

Prima della finale è tradizione far sfilare la banda cittadina, e l’emozione di esibirsi davanti a quel muro di folla è tanta che sono frequenti, tra le majorettes, svenimenti improvvisi. L’edizione 1974 registra lo sproposito di dodicimila biglietti staccati, tra semifinali e finale: l’ingorgo che si crea intorno allo stadio dopo le partite più importanti è tale che per sbrogliarlo devono intervenire i vigili urbani di tre comuni. E può succedere di rimanere in coda fino alle due di notte.

Intanto, sono arrivati gli anni ottanta.

Il decennio lo inaugura un Foiano di extraterrestri, che gioca con le maglie arancioni e presenta una linea d’attacco addirittura mostruosa: Mario Petrelli e Leo Fabbrini a sostegno delle punte che sono Antonio Papa e Ciro Damora. Per la regia di Massimo Bianchini.

I Mondiali di Spagna incendiano il paese, raddoppiando l’interesse per un calcio che trabocca di passione, e di denaro.

Contemporaneamente, però, la formula del torneo estivo entra in crisi, e arriva il declino.

Le grandi piazze non si scaldano più: Foiano e Cortona, per esempio, hanno conosciuto i fasti della serie D, e tutti i Club capiscono che bisogna convergere gli sforzi nei campionati federali.

Nondimeno, la “Coppa Tempora” cerca di mantenere il suo appeal: a vedere la finale tra Pozzuolo e Sinalunghese, nel 1983, saranno in 2500: nel 1987, gli spettatori scendono a 1800 e nel 1989 saranno “solo” in 900.

Faccio un tifo sfegatato per il Bettolle, che cade solo in finale nel 1985: è la tipica squadra “Inglese”, nel gioco e nel temperamento dei suoi interpreti: Verrazzani-Bernardini-Tommassini-Roghi-Nerucci-Becherini-Damora-Capitani-Marchi-Cencini e, in attacco, la stella nascente di Lele Panfi, che proprio a Bettolle comincia a far tuonare il suo cannone.

Sarà, insieme a Salvatore Calabrò, il grande protagonista del decennio successivo.

Arrivano, infatti, gli anni novanta, ma quelli non possiamo raccontarli: perché la nostra storia, improvvisamente, finisce.

La “Coppa Tempora” di Bettolle, infatti, celebra nel 1989 la sua ultima edizione. Proseguirà un po’ stancamente fino al 2002, con edizioni riservate alle sole categorie giovanili, e poi chiuderà per sempre i battenti.

E’ successo che il calcio, nel giro di pochi anni, ha cambiato pelle: i Club si sono moltiplicati e, soprattutto, non si ha più voglia di investire risorse per la gloria effimera di un torneo estivo. Soprattutto, si è scatenata l’offensiva della pay-tv, che irrompe sulla scena, e porta direttamente nel salotto di casa un calcio in alta definizione e tridimensionale… I riflettori, l’erba verde, il muraglione di Bettolle e tutte le cose che avevano lasciato a bocca aperta due generazioni di sportivi, hanno perso tutta la loro magia.

La gente si è accomodata sul divano, e non ha più voglia di alzarsi.

Arriva anche la moda del calcetto, più snello e spicciativo, e sarà il colpo di grazia per le manifestazioni storiche che ancora rimangono in piedi. L’ultimo a chiudere il sipario sarà il Torneo Asso di Torrenieri.

Rimane, a distanza di anni, il ricordo di quella Valdichiana tumultuosa e ribelle: di una stagione che fu ricca, irruenta, chiassosa e forse persino felice.

E che seppe trovare proprio nel calcio una delle sue rappresentazioni più plastiche.

Lo ricorda, splendidamente, il prezioso volume curato qualche anno fa da Massimo Tavanti: dove viene fuori lo spaccato di un mondo ancora disposto ad entusiasmarsi per un’idea, e a darsi da fare per realizzarla.

Il Torneo di Bettolle, che per noi fu Mondiale, Europei Coppa dei Campioni e Coppa Uefa messi insieme, ci racconta questa semplice storia: fatta di gente che aveva ancora la capacità di emozionarsi per un riflettore acceso sopra ad un prato verde.

Poi, diventammo grandi.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui