Viaggio fra le domande della commissione sul caso Rossi

“Esumazione del cadavere? Perché ne ha parlato? Quando c’è stata?”. E’ una, ma non l’unica, delle affermazioni più clamorose che i membri della commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di David Rossi ha posto agli interlocutori ascoltati durante le prime due audizioni. Clamorosa perché chi si approccia a un caso eclatante come quello dell’ex manager di Mps e chi ha dunque scelto di far parte della commissione dovrebbe fare (o, meglio, aver già fatto) almeno due cose.

Per prima cosa perlomeno leggere non dico tutti gli articoli e tutti i libri usciti sul caso, ma quasi. Più semplicemente, pur potendo contare su lauti stipendi, almeno fare una ricerca su Google e dare uno sguardo ai risultati. Sarebbe stato semplice anche in questo caso venire a conoscenza che l’esumazione del cadavere di David Rossi è stata effettuata. E anche come e quando.

Per seconda cosa, avere la voglia di leggere gli atti, ad esempio quelli consegnati la scorsa settimana dal procuratore Salvatore Vitello e relativi alle prime due indagini sul caso. Si eviterebbero figurette tipo quella confezionata dal parlamentare di cui sopra, perché, per l’appunto, negli atti c’è tutto, anche l’esumazione del povero David, datata e certificata. Peraltro un atto doloroso e difficile per i familiari, tanto per dire.

Capiamo. A volte, probabilmente, la voglia di apparire supera di gran lunga di quella di leggere. Il problema è che, spesso, quando la prima è maggiore delle seconda si compiono inciampi clamorosi, come quello, ancora, di cui sopra.

Sul caso David Rossi si possono avere legittime opinioni. Omicidio. Suicidio. Anche lontanissime fra loro. I parlamentari sono essere umani e come tali possono condividere o meno le battaglie dei familiari, le decisioni delle Procure, le archiviazioni, le richieste di ulteriori approfondimenti. Sono però investiti di un compito importante, quello di approfondire, capire, scandagliare, perfino sminuzzare e incalzare. Sono i presupposti per i quali la commissione è nata.

Per fare tutto questo, dunque, bisognerebbe studiare. Almeno un po’. Almeno le basi, come si dice. Perché la visibilità è bella, la diretta web e le registrazioni in cui si viene inquadrati in giacca, cravatta e tailleur pure, ma poi emergono anche le lacune e i nodi vengono irrimediabilmente al pettine, anche se si hanno i capelli in ordine, minando dunque la credibilità (già non eccelsa) delle istituzioni.

Così, per esempio, accade che si facciano per tre volte le stesse domande (alle quali chi di dovere aveva risposto qualche minuto prima), oppure si confondano le Procure e le relative competenze, oppure si pongano interrogativi alle persone sbagliate, oppure ancora si mischino confische, date, testimoni e testimonianze.

Il vero pericolo della democrazia è l’ignoranza. Nel senso della non conoscenza. La commissione ha davanti ancora un lavoro lungo e difficile, le aspettative sono tante, forse perfino troppe. C’è tempo per rimediare. Basta leggere, per esempio.

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