Plastic waste pollution underwater since coronavirus COVID-19 pandemic, face mask with gloves in the ocean and blue sky with cloud, split view over and under water surface

L’impronta della pandemia sull’ambiente è stato l’argomento al centro di una tavola rotonda che si è svolta all’Accademia dei Fisiocritici

Molto, anzi moltissimo, è stato scritto sul coronavirus e su tutte le conseguenze sanitarie ed economiche. Molto poco invece è stato indagato su quella che è l‘impronta della pandemia sull’ambiente: dalla fine che fanno le tonnellate di dispositivi di protezione usati tutti i giorni nel mondo, ai rischi per la salute connessi con un uso poco attento dei sistemi di igienizzazione e sanificazione degli ambienti domestici e di lavoro. Si parla, dall’inizio della pandemia a oggi, di otto milioni di tonnellate di rifiuti plastici.
Sono stati questi gli argomenti al centro della tavola rotonda “L’impronta coronavirus: l’impatto della pandemia sull’ambiente e sul nostro benessere quotidiano”, che si è svolta all’Accademia dei Fisiocritici, nell’ambito del Festival della Salute. A coordinare i lavori la professoressa Letizia Marsili, ecologa dell’Università di Siena.

Tra i relatori Matteo Guidotti, chimico del CNR di Milamo, ha analizzato l’emergenza sanitaria con l’occhio del chimico, focalizzando l’attenzione sul drammatico impatto che la pandemia ha avuto sulla filiera dei rifiuti: dalla diminuzione dei rifiuti solidi urbani nelle città conseguenti alle chiusure, alla sospensione della raccolta differenziata in caso di quarantena domiciliare, alla crescita dei rifiuti sanitari ospedalieri (40% in media a livello mondiale), all’aumento degli imballaggi alimentari per i cibi da asporto, agli effetti negativi di disinfettanti e reagenti (quelli, per esempio, che vengono utilizzati per i tamponi).

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