tls antibiotico resistenza

Per approfondire il tema abbiamo intervistato Claudia Sala, ricercatrice del MAD Lab di TLS

E’ definita la ‘pandemia silente’. L’antibiotico resistenza è il fenomeno per cui i batteri diventano resistenti ai farmaci antibiotici normalmente impiegati per contrastarli. I numeri sono implacabili.

Un report sull’Amr, commissionato dal Primo ministro inglese nel 2014, ha stimato che nel mondo, nel 2050, le infezioni da batteri resistenti potrebbero causare circa 10 milioni di morti all’anno, superando i decessi per tutte le altre cause (compresi tumori e incidenti stradali) e con una previsione di costi che supera i 100 trilioni di dollari. In Italia, la resistenza agli antibiotici si mantiene tra le più elevate in Europa – ogni anno quasi 300mila pazienti vanno incontro a un’infezione correlata all’assistenza provocata da batteri resistenti agli antibiotici – causando circa 7.000 decessi.

Per capire meglio il fenomeno abbiamo intervistato Claudia Sala, ricercatrice del Monoclonal Antibody Discovery LAB di TLS. Il team di ricerca MAD Lab presso la Fondazione TLS ha iniziato la sua attività a fine 2018 grazie a un ERC Advanced Grant di 2,5 milioni di euro per un progetto di ricerca dedicato alla resistenza antimicrobica. Un gruppo che oggi si occupa di attività di ricerca su importanti sfide di salute (Shigella, Klebsiella pneumoniae e, più recentemente, coronavirus SARS-CoV-2). Il MAD Lab ha consolidate competenze nella identificazione e produzione di anticorpi monoclonali umani che possono essere testati in vitro sia contro specie batteriche sia contro virus.

Quando parliamo di antibiotico-resistenza si parla innanzitutto di batteri, e non di virus, perché gli antibiotici sono efficaci solo su di essi. Per resistenza si intende che il batterio che abbiamo tra le mani non può più essere ucciso da un antibiotico, come invece poteva accadere poco tempo prima. Significa quindi che il batterio è diventato resistente, ovvero ha acquisito nel suo genoma (DNA) alcune mutazioni che gli consentono di sfuggire all’azione degli antibiotici. Le mutazioni nel DNA si traducono, ad esempio, in modifiche della membrana cellulare dei batteri che diventano impermeabili agli antibiotici. In altre parole, i meccanismi di resistenza agli antibiotici agiscono come uno scudo protettivo per il batterio. Questo succede perché i batteri sono capaci di scambiarsi dei pezzetti di DNA che veicolano la resistenza e sono in grado di farlo nel momento opportuno, cioè quando l’antibiotico è in circolazione”.

Le conseguenze sono devastanti. “Ciò causa all’inizio una diffusione delle resistenze in un gruppo ristretto di persone, ma può anche diffondersi all’interno di unospedale, o all’interno di un’intera comunità, raggiungendo anche dimensione mondiale, dal momento che oggi siamo esposti alla circolazione di ceppi batterici provenienti da tutti i Paesi. Il problema è così grave che il WHO (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha stimato che entro il 2050 avremo più morti a causa della resistenza agli antibiotici rispetto al numero attuale di deceduti per cancro. Oltre a questa stima, il WHO ha classificato i batteri antibiotico-resistenti in tre gruppi: i batteri più critici e pericolosi (critical priority), i batteri high priority (di alta priorità) e i batteri medium priority (di media priorità). Nel nostro gruppo stiamo cercando di affrontare il problema dell’antibiotico-resistenza di tutti e tre i gruppi”.

Nato nel 2018, il laboratorio studia l’antibiotico-resistenza tramite un approccio sperimentale e ha acquisito nel tempo competenze sempre maggiori grazie ai risultati della ricerca.

“Il MAD Lab nasce circa 5 anni fa su iniziativa del Dottor Rino Rappuoli per cercare anticorpi contro batteri antibiotico-resistenti. In seguito, con il Covid-19, le attività si sono diversificate e ora, oltre a occuparci dei batteri, abbiamo anche un gruppo che si occupa di virologia e che quindi cerca anticorpi contro i virus. L’approccio utilizzato è il medesimo sia per i batteri sia per i virus: si parte da persone guarite o convalescenti che ci donano il loro sangue all’interno di protocolli clinici approvati da diversi Comitati Etici. All’interno del sangue, si ricercano poi le cellule che producono gli anticorpi (linfociti B) e, una volta isolate, vengono coltivate in vitro al fine di produrre gli anticorpi. Questi sono successivamente sottoposti a processi di screening in modo da individuare quelli che riconoscono il patogeno di interesse e quelli capaci di inattivarlo. A partire dai candidati anticorpi si possono poi sviluppare nuovi farmaci contro malattie batteriche o virali”.

Che cosa può fare la popolazione per limitare il fenomeno?

Sicuramente non bisogna abbandonare l’abitudine di lavarsi le mani. Questa pratica sana, infatti, non serve per difenderci solo dal Covid-19, ma anche da tante altre infezioni che una persona potrebbe avere sulle mani. In secondo luogo, è importante aderire in modo preciso alle prescrizioni del medico quando vengono somministrati gli antibiotici. Bisogna rispettare le tempistiche e il dosaggio perché, in caso contrario, si favoriscono i batteri e l’insorgere delle resistenze. Un altro comportamento da adottare è quello di smaltire correttamente i medicinali scaduti: i farmaci non vanno eliminati nel lavandino, ma portati in farmacia dove ci sono canali opportuni di distruzione. Questi sono i comportamenti virtuosi che possono essere messi in atto da chiunque per contenere la gravità del fenomeno”.

Da tenere in considerazione è l’approccio one-health, che lega la salute dell’uomo a quella degli animali e, più in generale, all’ambiente circostante.

Oggi si parla di approccio one-health: un concetto che aveva già preso in considerazione Louis Pasteur. Fondatore dell’omonimo Istituto, Pasteur aveva capito già un secolo e mezzo fa quanto fosse importante coinvolgere i veterinari per risolvere i problemi della salute umana. Questo concetto è tornato prepotentemente d’attualità quando è esploso il Covid-19. Le ipotesi sul salto di specie hanno infatti portato a riconsiderare il problema anche dal punto di vista del trattamento degli animali, dei luoghi in cui sono allevati e dell’importanza della diffusione di buone pratiche. Poi, ci si è spinti oltre: oggi si considera la salute dell’uomo come parte di un ambiente in cui non si è da soli. Di conseguenza, la salute dello stesso ambiente è associata ai rischi di pandemie e alla diffusione di batteri antibiotico-resistenti”.

Un esempio pratico di questo fenomeno è il legame tra cambiamento climatico ed epidemie. “Un’alluvione come quella dell’Emilia Romagna, dove l’acqua è rimasta stagnante per tanto tempo, ha indotto le autorità sanitarie a prescrivere agli abitanti la vaccinazione contro il tetano per evitare epidemie”. Inoltre, dal momento che si vive in costante movimento e il rischio di trasmissione delle malattie aumenta, diventa necessario “garantire un accesso equo alle cure per coloro che vivono negli ambienti più poveri nel mondo”.

Lavorare all’interno di Toscana Life Science: che cosa vuol dire?

TLS è un incubatore di ricerca che ospita progetti importanti, come quelli del nostro laboratorio. Al tempo stesso, immagino che per TLS questo gruppo rappresenti un asset importante anche per la visibilità che ci siamo conquistati al tempo del Covid-19 e che cerchiamo di continuare a tenere elevata. Credo poi che l’importanza strategica non sia solo per TLS ma per l’intero ecosistema delle scienze della vita. Un network importante dove coesistono le istituzioni locali, regionali e anche le università. A tal proposito ospitiamo spesso gli studenti degli atenei anche esteri, segno quindi che creiamo un polo attrattivo verso i giovani che vogliono intraprendere la strada della ricerca da noi”.

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