Curiosità e stranezze sulla nostra Siena concentrate nelle Bonnie Pills settimanali: Andiamo a caccia delle lapidi marmoree della Divina Commedia
Il caldo è arrivato prepotente negli scorsi giorni, la stagione estiva bussa alle porte prima della sua ufficialità, e le strade di Siena si riempiono di turisti. Proprio parlando con una coppia emiliana, ho rivelato loro una curiosità che avrebbero potuto scovare per le strade della città, chiedendomi se non fosse il caso di assicurarmi che anche voi la conosciate!
Tutti sappiamo bene che in una delle opere della letteratura italiana più importanti del mondo, Siena non sia mai citata con grande amore. Dante Alighieri non piazzò certo senesi nel suo Paradiso, muovendosi tra Purgatorio e Inferno alla bisogna.
Ma — comunque, di senesi nelle pagine della Divina Commedia ce ne sono diversi. E tutti (spero) conosciamo la lapide dedicata a Pia de’ Tolomei… ma sapevate che non è l’unica? Sono ben otto le lapidi marmoree affisse per le vie e sui palazzi della città a commemorare persone o eventi citati nell’opera dantesca. Vediamo se le avete notate tutte — o se vi toccherà andare a caccia per la città!
Pia de’ Tolomei
Iniziamo proprio da lei, dalla più conosciuta a Siena fra i personaggi del Purgatorio dantesco: Pia.
La nobildonna senese del ‘200, Pia de’ Tolomei, viene incontrata da Dante nell’Antipurgatorio, fra gli spiriti negligenti che hanno incontrato morte violenta e che solo in punto di morte si sono pentiti.
Fatta morire in Maremma, rinchiusa nel Castel di Pietra dal marito Nello affinché egli potesse convolare a nuove nozze dopo non esser riuscito a provare l’adulterio della moglie, Pia nel suo parlare al Poeta gli chiede di aiutarla a raggiungere il Purgatorio pregando per lei.
E son proprio questi i versi riportati nella lapide affissa sulla facciata destra di Palazzo Tolomei, nel Vicolo della Torre: Ricorditi di me, che son la Pia; / Siena mi fé, disfecemi Maremma.

Provenzan Salvani
Sono ben due le lapidi marmoree che ricordano il condottiero senese che nella Battaglia di Montaperti aveva guidato i propri concittadini verso la vittoria contro la guelfa Firenze. Il capo della fazione ghibellina senese, Provenzan Salvani, fu podestà di Montepulciano e arrivò a definirsi persino “signore” di Siena, tanto il potere ottenuto nelle proprie mani.
E datosi che proprio la Giraffa era rione di famiglia, è in Via del Moro che si trova la prima lapide a lui dedicata: Quegli è, rispose, Provenzan Salvani / ed è qui perché fu presuntuoso / a recar Siena tutta alle sue mani.

E a dieci versetti di distanza, invece, la spiegazione del come fosse riuscito Provenzan Salvani a guadagnarsi un posto fra i Superbi del Purgatorio anziché attendere come Pia fra gli spiriti negligenti.
Liberamente nel Campo di Siena, / ogni vergogna deposta, s’affisse… Ovvero il racconto di quella volta in cui, Provenzan Salvani, scese in Piazza del Campo a chiedere l’elemosina per raggiungere i 10mila fiorini d’oro che gli avrebbero permesso di pagare la taglia sulla testa dell’amico Bartolomeo Seracini, catturato da Carlo d’Angiò nella Battaglia di Tagliacozzo.
Per questo dunque, per la commemorazione di quel momento di umiliazione volontaria, la lapide che ne cita i versi si trova affissa all’imbocco del Casato di Sotto, in Piazza del Campo.

Sapia Salvani
Da un Salvani a una Salvani, e per essere ancor più specifici: dal condottiero ghibellino che aveva vinto a Montaperti, alla zia guelfa dello stesso, che delle future sconfitte del nipote e dell’intera sua città fu lieta.
Invidiosa a tal punto dei propri concittadini ghibellini, Sapia Salvani si rallegrò non solo per la sconfitta della propria città, ma addirittura per il massacro dei senesi durante la Battaglia di Colle Val d’Elsa dove morì proprio suo nipote.
E sono queste, infatti, le parole che si possono leggere sulla lapide affissa all’imbocco di Vallerozzi: Savia non fui, avvegna che Sapìa / fossi chiamata, e fui de li altrui danni / più lieta assai che di ventura mia.

Ma, come per il nipote, anche per Sapia non si parla di una sola lapide marmorea ma di ben due. E se Provenzan Salvani si umiliò in pubblica piazza per cercare di salvare un amico, così sua zia venne salvata dall’Antipurgatorio da colui che dette il nome alla via dove la seconda lapide è affissa.
…ch’a memoria m’ebbe / Pier Pettinaio in sue sante orazioni, / a cui di me per caritate increbbe : collocata dunque nel Vicolo Beato Pier Pettinaio, la seconda dedica a Sapia racconta del perché Dante la incontri fra gli Invidiosi, nonostante il suo pentimento fosse giunto solo in punto di morte.
Tutto merito di un senese che (strano vero arrivati a questo punto!) fu un sant’uomo. Morto nel 1289 e beatificato nel 1802, fu solo grazie alle preghiere di Pier Pettinaio se Sapia fece tal passo avanti…

Diana
Le citazioni al Purgatorio dantesco si concludono, per le vie di Siena, con qualcuno forse ancora più importante e leggendario di quelli che hanno avuto una data di nascita e di morte.
Il fiume sotterraneo che ha caratterizzato i miti e le leggende di questa città. Il fiume che ancora oggi si dice di poter udire scorrere senza però mai averlo trovato e visto: la Diana, è Lei la protagonista delle amare parole fatte pronunciare (ancora una volta) a Sapia Salvani da Dante.
…e perderagli / più di speranza che a trovar la Diana : giusto appunto collocata in Via della Diana, la lapide che riporta le parole malevole verso i senesi fu un modo di sottolineare la fallimentare idea della Repubblica di Siena di acquistare il Porto di Talamone, troppo spesso colpito dalla malaria e dai pirati.

Brigata Spendereccia
Dal Purgatorio all’Inferno. Le ultime due lapidi marmoree presenti a Siena vengono proprio dai gironi infernali. Dall’ottavo cerchio arriva la citazione che si trova affissa in Via Garibaldi, sulla facciata della Casa della Consuma, sede della Brigata Spendereccia nella seconda metà del 1200.
E tranne la brigata, in che disperse / Caccia d’Ascian la vigna e la gran fonda, / e l’Abbagliato suo senno proferse. Tale Brigata nel giro di due anni riuscì, infatti, a scialacquare il corrispettivo di 15 milioni di euro, mettendo insieme gli averi di un gruppo ben fornito di ricchi giovani senesi — che avevano (per statuto!) il solo obiettivo di spendere ogni loro possedimento: fino all’ultimo fiorino!
Non a caso uno di loro, Lano da Siena, viene incontrato in solitaria altrove, sempre all’Inferno ma nel settimo cerchio, nella foresta dei violenti contro se stessi — proprio a causa della sua essenza da scialacquatore.

Fontebranda
E arriviamo così a conclusione. Una conclusione strana, perché nessuno dei personaggi che parla (o a cui ci si riferisce) nella citazione dantesca affissa nel Vicolo del Tiratoio è senese.
Ma s’io vedessi qui l’anima trista / di Guido o d’Alessandro o di lor frate, / per Fonte Branda non darei la vista. A parlare è Mastro Adamo da Brescia, direttamente dall’ottavo cerchio dell’Inferno, condannato per aver falsificato fiorini d’oro per i Conti Guidi di Romena.
Nessun di loro nato a Siena, nessun di loro morto a Siena, intenti a falsificare e trafficare fiorini d’oro e a immetterli nel mercato fiorentino. E allora — perché andare a scomodare proprio Fontebranda?! Beh, semplice: il famoso Guido Guidi II di Romena fu podestà proprio a Siena, dopo che Mastro Adamo venne arso sul rogo.

E giunge così a conclusione il nostro itinerario fra le lapidi marmoree della Divina Commedia che adornano le vie e i palazzi di Siena. Esse, in vero, vennero piazzate al loro posto proprio cento anni (più uno) orsono — per il seicentenario della morte di Dante, nel 1921.
E voi? Le conoscevate tutte? Ma soprattutto — avete altre lapidi curiose da farci conoscere? Ditecelo!
La cura per la noia è la curiosità,
sfamatela con le Bonnie Pills!