“Volevamo spostare i saldi a fine luglio perché la stagione è iniziata più tardi quindi volevamo evitare di scontare la merce appena arrivata in negozio”

Speravano di inaugurare la stagione dei saldi a fine luglio ma il governo non ha accolto la richiesta di Confesercenti Siena e del presidente provinciale del settore moda Marco Rossi, stabilendo invece il 3 luglio come giorno di partenza. Una decisione che secondo Rossi tende a favorire la grande distribuzione piuttosto che le piccole botteghe del centro storico, ma soprattutto una scelta che porterebbe i negozi fisici a mettere in saldo i nuovi arrivi riducendo così il margine di guadagno sulle vendite. Quello che si chiede il presidente provinciale è quindi: “Che tipo di distribuzione commerciale ha in mente il governo per l’Italia?”.

Tutto ha avuto inizio con le richieste avanzate da Confesercenti e dallo stesso Rossi: “Avevamo chiesto che i saldi venissero spostati a fine luglio, inizio agosto affinché si ritornasse ad avere un saldo di fine stagione”. Così però non è stato e la decisione emersa dalla conferenza delle regioni ha messo un punto fermo sulla questione, stabilendo l’inizio dei saldi il 3 luglio.

La nostra richiesta – ha spiegato Rossi – aveva come obiettivo quello di tornare a valorizzare il prodotto piuttosto che lo sconto in se, perché in questo modo si continua a fare il gioco della grande distribuzione, delle catene di negozi piuttosto che delle piccole botteghe dei centri storici che fondano il loro essere sul servizio, la consulenza, la cortesia. Inoltre – ha aggiunto – volevamo spostare gli sconti più avanti perché quest’anno la stagione è iniziata più tardi quindi saremmo andati in saldo con della merce appena arrivata in negozio, non avendo così molta marginalità di guadagno sul venduto”.

“Abbiamo fatto pressione sulla regione ma evidentemente quando sono andati ai tavoli che contano hanno prevalso le ragioni di altre lobby, comunque – ha fatto sapere – non molliamo e porteremo avanti questo tema dei saldi anche nelle prossime stagioni”.

Intanto qualche segnale positivo arriva proprio dalle vendite: “Da quando sono state allentate le misure restrittive abbiamo riscontrato un ritorno nei negozi, con dei segnali abbastanza positivi che per il momento ci fanno ben sperare per il futuro. Purtroppo però – ammette Rossi – è stato perso tanto fatturato. Se da una parte siamo contenti per questi segnali di ripresa dall’altra le perdite subite non ci permettono di stare tranquilli. Inoltre i sostegni del governo sono stati assolutamente insufficienti, tanto che i negozianti sopperiscono al fatturato perso con risorse personali o con richieste di finanziamento alle banche. Noi siamo fiduciosi però la preoccupazione permane”.

Oltre a questo le piccole botteghe locali sono costrette a convivere con la minaccia del commercio online: “Il Covid non ha fatto altro che accelerare questa problematica che vede una forte disparità di trattamento da parte del governo tra chi deve tutti i giorni confrontarsi con le problematiche di un negozio fisico, dalle tasse sulle vendite a tutte le spese per mantenere l’attività, gli ambienti adeguati l’irpef, la tari, la tassa sulla pubblicità, i corsi di aggiornamento, i corsi sulla sicurezza”.

Difficoltà sconosciute ai market place online: “Pagano pochissime tasse e nella maggior parte dei casi portano tutto il capitale all’estero. Si dovrebbe agire da una parte tassando questi grandi gruppi, dall’altra invece dovrebbero essere sostenute le attività fisiche, a livello normativo e fiscale. Se nel mercato della moda non vengono fatti dei cambiamenti nella fiscalità, nelle regole o nel commercio online non vengono posti dei paletti, certe problematiche si porteranno avanti a prescindere dal virus e per certi negozi la vita sarà sempre più difficile; anche perché per stare al passo con i grandi gruppi i titolari dei piccoli esercizi sono stati costretti a svendere tutto se non proprio l’attività stessa. E’ necessario che la politica ci metta un po’ la mano, capire che tipo di rete distributiva il governo ha in mente per l’Italia. Siano chiari su questo, se si vuole dare valenza alla vivibilità dei centri storici bisogna che questi siano ricchi, oltre che di opere d’arte, di attività che garantiscano la vita, la socializzazione. Se intendono ancora mantenere questo tipo di distribuzione commerciale in modo capillare allora devono sostenerla”.

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