Intervista ad Andrea Rodini, colligiano d’adozione a Sanremo: “Colle è di una bellezza assoluta”

Lo stiamo vedendo in questi giorni dirigere l’orchestra che accompagna Noemi a Sanremo, in gara con il brano Glicine. Forse però non tutti sanno che Andrea Rodini, insegnante di canto, produttore, talent scout, è da anni ormai un colligiano a tutti gli effetti. Abbiamo scambiato con lui quattro chiacchiere al telefono per farci raccontare le sue impressioni sul Festival della canzone italiana (e non solo).

Da qualche anno non tornavi a Sanremo, che effetto fa in un periodo così particolare?

“Sono stato al Festival di Sanremo nel 2013 e nel 2014 con Renzo Rubino (prima tra le nuove proposte e poi tra i big), poi nel 2016 con Miele e Mahmood e sono tornato quest’anno. Devo dire che molto diverso rispetto alle altre volte. Di solito ti ritrovi a camminare per la via principale, invasa da 42 miliardi di persone e ti senti in qualche modo parte di questo circo pazzesco che manca completamente quest’anno. Nonostante questo, c’è una forte tensione emotiva.

Ho fatto un post su Facebook recentemente dove parlavo proprio di questo. Per farti capire, io trovo estremamente artistico il concetto di Natale, perché come i veri artisti cambia l’atmosfera generale, cambia il modo di guardare le città, di guardare i negozi, nel salutarsi si abbassano i toni, si diventa più buoni… questa è una cosa vera, cioè il Natale fa quella cosa lì. E quando una cosa smuove le coscienze delle moltitudini, i punti di vista di una moltitudine, per me quella cosa è un fatto artistico.

Ecco, il Festival di Sanremo (non quello che si fa dentro, non le canzoni) è un fatto artistico. Crea un’atmosfera, non ci sono dubbi. È popolare e artistico contemporaneamente. Per me, per intendersi, un fatto artistico è anche l’11 Settembre. Il covid è un fatto artistico”.

Il fatto che sia popolare e artistico allo stesso tempo sono due cose che vanno di pari passo?

“No, non scherziamo. Sono rarissimi i casi in cui popolare e artistico vanno assieme, anche nella musica. L’industria della musica e la musica sono due cose completamente diverse, che in casi particolarmente fortunati vanno insieme. Qual è la differenza fra i due? Che la musica, come fatto artistico, può anche non tenere conto di quello che io chiamo l’orecchio collettivo, appunto del popolo. L’industria della musica non può fare meno di quella cosa invece. Quando l’industria della musica e la musica si incontrano è un miracolo che bisogna sottolineare. Mi vengono in mente i Beatles, Michael Jackson… Anche Mozart, che lavorava su commissione, eppure faceva dei capolavori assoluti, quindi doveva in qualche maniera tenere conto di un orecchio collettivo”.

Il tuo rapporto con Noemi?

“Innanzitutto è un rapporto che dura da 11/12 anni, perché nella seconda edizione di X-Factor, alla quale partecipavo come vocal coach, c’era Noemi. Ricordo quando le abbiamo assegnato La costruzione di un amore di Ivano Fossati con Morgan. A quel tempo cantava black music, era la prima volta che interpretava un pezzo in italiano. C’è ancora da qualche parte una registrazione in cui, nei primi passaggi di quel brano, le si spezza la voce. Poi mi ha chiamato qualche tempo fa, sempre come vocal coach, quando era giudice a The Voice e infine qui”.

Come ti sembrano in generale le proposte di quest’anno?

“Negli ultimi anni ci sono state due o tre edizioni del Festival dove le nuove proposte mi sembravano più forti dei big, ma era solo un rito di passaggio. Quest’anno, invece, ci sono tante cose considerate “nuove” nella categoria big, perché sono meno conosciute. Invece i giovani per me sono un po’ così… Se quella è la gioventù è un problema, sembra un pochino più vecchia dei big, ecco. Ma perché nei big ci sono tanti giovani, è un ibrido, è il no gender applicato alle categorie sanremesi. La contaminazione ormai è in tutta la società. Ci sono artisti che sono quello, ma sono anche l’altro. Il profeta di questo modo di guardare il mondo è Achille Lauro che, non a caso, è il mattatore del Festival e lo sarebbe stato anche l’anno scorso se Morgan non avesse tirato fuori quella cosa dadaista…!”.

Che rapporto ti lega invece a Colle di Val d’Elsa?

“La prima volta che ho conosciuto Colle era il Capodanno tra il ’91 e il ’92, poi ho cominciato a frequentare Colle di Val d’Elsa a tappe. Nel 2008 ho comprato la casa su nella parte alta, dove abito stabilmente dal 2017. Quindi mi sono fatto tutto il lockdown qui, è stato bellissimo per quanto si possa dire di un lockdown. La possibilità di prendere e andare a fare due passi nei campi fa la differenza. Al Gratosoglio di Milano penso che se la siano vissuta un po’ peggio. L’ingresso di Colle con Palazzo Campana è unico in tutta la Toscana. La Toscana è tutta bellissima, però è tutta “quel borgo medievale lì”. Invece Colle di Val d’Elsa ha un sapore diverso, è bellissima e mi piace tantissimo. Io sono un grande fan di Colle di Val d’Elsa e credo che sia un luogo che prima o poi avrà un rilancio, perché è di una bellezza assoluta”.

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