“Investita dal fidanzato”. Il drammatico racconto di una giovane operata a Siena. “Ecco la mia verità: sfatiamo un mito, la donna che subisce violenza non ha particolari caratteristiche”

Proprio a pochi giorni dalla celebrazione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, pubblichiamo il racconto commovente, drammatico, ma carico di speranza di una giovane donna che, subita una violenza, è stata a lungo ricoverata all’ospedale di Siena. Nella struttura senese ha ricevuto le cure del caso e ha intrapreso un lungo percorso di riabilitazione, non solo fisica ma anche psicologica. Abbiamo deciso di pubblicare questo racconto, che la giovane donna ha anche condiviso sui social, omettendo, per rispetto, alcuni particolari della vicenda, ma per dimostrare che la lotta alla violenza deve essere un percorso quotidiano e per provare a dare il nostro piccolo contributo nello spazzare via ogni pregiudizio.

“Sono passati due anni dal mio “incidente” – scrive così Elisa sul proprio profilo Instagram -, ho sempre raccontato a pizzichi e bocconi la mia verità, un po’ perché la mia verità non è completa in quanto io non ricordo ed un po’ a causa legale“.

“Ecco la mia verità”

“Ma – continua – sostanzialmente la perizia da parte del CTU (consulente tecnico d’ufficio del tribunale), è già stata resa pubblica e quindi, anche io, posso raccontare la mia verità, anche se dovrò limitarmi a dire solo quello che è scritto nella perizia e raccontare ciò che ho passato dal punto di vista sia fisico che morale nel limite, perché in molti ricordi è implicata anche l’altra persona e di conseguenza non posso parlarne“.

Potrei raccontare l’intera giornata di due anni fa nei minimi dettagli, cos’ho mangiato, com’ero vestita, cos’ho fatto, frasi che ho detto e che mi sono state dette… ma da un certo momento in poi i miei ricordi iniziano a “sfumare” fino ad avere un vuoto completo, riprendendo a tratti quando io sono già sotto la macchina. Non ricordo la parte più importante, forse è meglio così, forse sarebbe stato troppo doloroso ricordare, nonostante io mi sia sforzata tanto per farlo. La vicenda però è stata appunto ricostruita da un perito tecnico”.

Quello che allora era il mio fidanzato mi ha investita

“In giro ci sono più versioni della vicenda. La più gettonata è che io mi sia buttata dalla macchina in corsa e ci sia finita sotto, (non so secondo quale strana legge fisica). La verità è che avrei preferito mille volte questa versione. Avrei preferito aver fatto tutto da sola, avrei preferito essere io la causa dei miei mali, sarebbe stato più facile da accettare ma sfortunatamente la verità è un’altra. Quello che allora era il mio fidanzato mi ha investita mentre io stavo camminando in corrispondenza del ciglio erboso”.

“I miei ricordi ricominciano qui. Ricominciano da me che grido “aiuto” perché ero incastrata sotto la macchina, con la gamba destra sotto la ruota anteriore destra. All’arrivo dei soccorsi mi hanno detto che ero vigile, ero in grado, ma fin da subito non ricordavo l’accaduto. I nostri ricordi sono in continuo movimento, si scompongono e si ricompongono, assumendo a volte anche  sembianze lontano dall’originale. E’ così che succede soprattutto quando il ricordo è troppo doloroso, quando il solo pensiero di rievocare con la mente quel determinato episodio, ci causa un vero e proprio trauma. In questi casi tantissime volte le persona attuano un sistema di auto conservazione, rimuovendo completamente l’evento, proprio per proteggersi da un dolore che sarebbe troppo grande da affrontare”.

“Ricordo, però, che una volta arrivati i Vigili del Fuoco, per tirarmi fuori da sotto la macchina hanno dovuto tagliare dei canneti lì vicino (dove avermi investita sono finita in un piccolo fossato) ed una volta accesa la motosega avevo pausa che mi volessero tagliare il piede per tirarmi fuori”.

“Così sono nate le mie fobie”

“Così è nata una delle mie fobie: quella di perdere un arto.

Un’altra fobia è nata una volta arrivata in ospedale, nonostante mi avessero dato un sedativo sono stata comunque in grado di riconoscere la prova di Babinki (prova che si effettua solamente per verificare se una persona è paralizzata). Ho iniziato ad andare nel panico, avevo la paura folle di essere paralizzata, paura che è aumentata a dismisura quando mi hanno fatto muovere gli arti a comando e non riuscivo a capire se io li stessi muovendo o meno”.

E’ un miracolo io non sia realmente paralizzata, è un miracolo io sia viva in quanto ho riportato le seguenti fratture e lesioni: frattura massa occipitale destra; frattura lamina destra di L5; frattura ala sacrale di destra; frattura di S1 e S2; fratture branche ileo e ischio pubiche di destra e sinistra; disestesi regione pubica ed arto inferiore destra; schiacciamento nervo sciatico destro; danno nervo surale destro di circa il 90 per cento, lesione vescicale”.

Il calvario e le operazioni a Siena

“Nei giorni successivi mi è stato effettuato un intervento per l’applicazione del fissatore esterno, indispensabile per essere trasportata con elisoccorso a Siena. Avevo letteralmente dei ferri che mi uscivano dalla pancia. Continuava però la mia paura di perdere un arto o di essere palizzata in quanto non riuscivo a sentire il piede destro (causa danno nervo surale destro, nervo della sensibilità), di fatti molto spesso chiedevo alle infermiere di che color fosse il piede”.

Avevo paura diventasse nero, ovvero avevo paura andasse in necrosi. Sicuramente ho guardato troppo Grey’s Anatomy.

Una volta a Siena, il giorno 10 aprile, ho subito l’operazione di ricostruzione del bacino.

Dopo aver effettuato quest’ultimo sono stata spostata in reparto (fino ad allora ero in rianimazione) e di conseguenza, con mio grande disappunto, hanno smesso di darmi l’oppio”.

“Ho sperato ci fosse un’altra verità…”

Da lì ho iniziato a ragionare sull’incidente e ho iniziato a capire che c’era solo un’opzione in quanto tutti i vetri erano intatti e gli sportelli chiusi: ero fuori dalla macchina ed ero stata investita. Non ho voluto credere a questa versione per molto tempo però. Ho sperato ci fosse un’altra verità“.

“I giorni in ospedale non passavano mai, ero costretta in un letto potendomi al massimo girare su un fianco quando sentivo dolore alla schiena”.

“Ho ripreso a “camminare” dopo 20 giorni complessivi di immobilità. Mi hanno dovuta tirare su perché io da sola non ci riuscivo. Eppure che ci vuole a tirarsi su dal letto? E’ una cosa che facciamo abitualmente, eppure io non potevo”.

Una volta in piedi potevo camminare con il deambulatore, l’ho sempre visto usare a mio nonno e cavoli, doverlo usare io era parecchio strano, ma ancora più strano era che non sapevo più come si camminasse, le gambe assolutamente non mi reggevano, non sentivo il sedere, mi sentivo scrocchiare in ogni dove, mi sentivo storta, non c’era niente che andasse nel verso giusto. O almeno non per me. Ma alzarsi una o più volte al giorno facendo una passeggiata di qualche metro non voleva dire camminare, io volevo camminare sul serio, rivolevo la mia vita”.

“Se in ospedale le giornate non passavano mai a casa non era da meno”.

“C’è stata una settimana e un giorno in particolare dove il dolore è stato insostenibile non sapevo che fare, era un dolore continuo, un dolore che toglieva il respiro. Neanche antidolorifici come Toradol e Morfina aiutavano”.

“Mi hanno riportata in ospedale due volte, la prima volta a XXXXX, dove mi hanno trattata come un a semplice lombo-sciatalgia quando invece il mio nervo non connetteva la seconda volta mi hanno portata a XXXXX dove mi hanno le tetramente drogata dandomi la terapia del dolore che comprendeva ventuno pasticche al giorno tra cui Arcoxia e Ossicodone (oppio sintetico) tre volte al giorno”.

“Avrei preferito 1000 di quei giorni che tutto quello che ho passato moralmente”

Ma avrei preferito 100, 100 di quei giorni con un dolore insostenibile che tutto quello che ho passato moralmente.

Ci ho messo tanto ad accettare la verità, a distaccarmi da quella persona. Non ricordare è stato ancora più difficile.

Sono passati due anni.

Tutt’ora non cammino bene e non lo faràò mai più, in quando ho la rotazione del bacino con una falsa gamba lunga.

Tutt’ora ho continui dolori al bacino e al nervo sciatico, e non portà mai più fare tante cose come correre o saltare“.

“Non so se potrò mai avere un figlio, in caso sarà stando sei mesi su nove a letto e successivamente praticando un cesareo.

Tutt’ora non sento alcune parti del corpo, avete presente la sensazione quando vi toccate un arto addormentato? Io ho quella sensazione da due anni e continuerò ad averla”.

“Ho pianto tanto, per molte cose. Ho pianto per quella persona”

“In questi due anni ho pianto per molte cose, ho pianto per frivolezze…Ho pianto per il mio corpo perché mi piaceva molto e per una ragazza di 19/20 anni è importante anche quello: ho pianto perché mi sono ritrovata un corpo completamente stravolto, pieno di ematomi e “bozzi” che sono il risultato di tessuti lacerati a causa della botta, l’ho fatto perché non mi vedevo più con i vestiti di prima, l’ho fatto perché il mio corpo non mi piaceva più.

Ma ho pianto anche per i capelli. Chiunque mi conosce sa quando ci tengo, sa quanto ci sono fissata. Al tempo ne persi la metà e la restante era un gigantesco rasta. Ho pianto quanto mi hanno detto che mi è venuta la scoliosi a causa del bacino.

Ho pianto per quella persona.

Ho pianto per tutto”.

“La donna che subisce violenza non ha particolari caratteristiche”

Lo scorso anno avevo paura di questo giorno. Avevo paura potessi sentirmi triste, avere dolori e brutti ricordi.

Ma in realtà mai come in questo giorno sono contenta di essere viva, sono fiera di me stessa e dei traguardi raggiunti. E sono grata di poter condividere la mia esperienza, perché vuol dire che ce l’ho fatta, certo, non tornerà mai più nulla come prima, non starò mai completamente bene, ma ce l’ho fatta.

Chi mi conosce ha più volte espresso la propria perplessità asserendo: “Conoscendoti non mi sarei mai aspettato/a tu potessi subire una cosa del genere”. Vorrei sfatare questo mito che esista una persona più predisposta di altre e magari io che do l’impressione di essere tanto forte e un po’ fredda non lo sia, perché la donna che subisce violenza non ha particolari caratteristiche socio-culturali, non appartiene a ambienti degradati e non ha particolari patologie. E’ semplicemente una donna, è semplicemente un essere umano come un altro.

In questo lasso di tempo ho imparato una cosa: ho imparato ad amarmi un po’ di più e a mettermi sempre al primo posto“.

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