“Gli Intronati: quando né Accademia, né Biblioteca? Una storia italiana, o solo senese?”

Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Ascheri sugli Intronati dal titolo: “Gli Intronati: quando né Accademia, né Biblioteca? Una storia italiana, o solo senese?”.

“L ‘Accademia senese degli Intronati’ non ha bisogno di presentazioni oggi per la prestigiosa presenza nel mondo cittadino di oggi e nella cultura internazionale. La recentissima pubblicazione su Leonardo, curata da Ettore Pellegrini ed edita (attivissimo come lui) Luca Betti, lo testimonia per tabulas. Così direbbe mio figlio Raffaele che ha anch’egli qualche visibilità come Presidente della biblioteca in qualche modo ‘intronata’, come l’ho avuta io come intronato di lunga data, operativo già negli anni ’70 occupandomi dell’Accademia allora presieduta da Domenico Maffei, con Giuliano Catoni e Sonia Adorni Fineschi (soprattutto, con altri ovviamente) promotrice di convegni rimasti famosi su S. Caterina, S. Bernardino e Pio II, in particolare.

Oggi sono tutti i giorni presenti nei media, quasi fossero in concorrenza Accademia e Biblioteca. Ma non lo sono e non devono esserlo. Cercano di interpretare la tradizione dorata di una Biblioteca, di un’Accademia e di un “Bullettino senese di storia patria”, ora ottimamente diretto da Duccio Balestracci. La rivista aveva subito varie vicissitudini, normali per le tradizioni vetuste e fors’anche per il clima pre-’68. Fatto sta che il “Bullettino senese di storia patria”, che tutti oggi conoscono grazie alla sua regolare apparizione in libreria, per gli anni 1969-74 segnati in copertina fu pubblicato solo nel 1976, essendo relativo alle annate LXXVI-LXXXI, occupato da un prezioso Indice 1894-1968 a cura di Mino Capperucci. Esso infatti segnò un momento di ripresa dopo anni comprensibilmente difficili. Il bel volume precedente degli anni 1966-68, ancora diretto da Gino Garosi, con il Comitato di redazione rinnovato, fu stampato solo nel 1972.

Morale: l’attività splendida dell’Accademia di oggi e della Biblioteca che ad essa s’intitola non è dubbia oggi e nella tradizione. Il problema è: ma quale ‘tradizione’?

Dell’Accademia sono stato per vari anni direttore della sezione di Storia, e come tale ho portato in dote gratuita all’Accademia ad esempio il completamento del Caleffo Vecchio (iniziato durante il fascismo ma finito grazie a Mauro Barni sindaco e all’équipe che lavorò sotto la mia direzione) e l’edizione dello statuto del Comune di Siena del 1545, l’ultimo, fondamentale per la storia di Siena, cui contribuì tra gli altri Fulvio Mancuso. Posso quindi parlarne a pieno titolo (e fors’anche come storico di Siena), avendo acquisto qualche credito: per il lavoro intronato svolto, e qualche debito con la Città, per il fantastico Mangia d’oro del 2003, pervenuto all’ultimo momento ‘buono’, prima dei nefasti anni successivi.

Ma una compiuta storia degli Intronati manca, questo è il problema, e i dati di fatto che ricorderemo contribuiscono a spiegarne la mancanza, mentre la continuità di mezzo millennio dei Rozzi e la loro larga base associativa spiega i molteplici studi storici ad essi dedicati. Ma gli Intronati sono stati ‘assenti’ a Siena per oltre un secolo dal 1802, anno in cui – dopo due secoli di presenza brillante poi confermati dal ricco portale oggi della Biblioteca – non poterono assumersi l’onere del restauro del teatro ‘grande’ danneggiato gravemente dal terremoto come i due piani sottostanti del Comune. Gli Intronati scomparvero fino all’intuizione antiquaria dell’attivissimo podestà Fabio Bargagli Petrucci, dominante nella cultura senese negli anni ’30 del Novecento (e prima) oltreché per la posizione istituzionale. Il teatro in quel 1802 decisivo divenne di una società dei ‘palchettanti’ Rinnovati, appunto con propria impresa diversa dagli Intronati, come avvenne poco dopo per i Rozzi, la cui accademia si tenne originariamente distinta dai meritori palchettanti proprietari del teatro. I rischi per l’investimento dei privati in certi beni erano allora più seri di oggi?

Fatto sta che l’Accademia dei Rinnovati cedette infine il Teatro al Comune nel 1935, senza che risulti una persistente proprietà degli Intronati (talora proclamata) semplicemente perché… l’Accademia non esisteva allora e il “Bullettino senese di storia patria”, prima di essere ceduto all’Istituto comunale del Bargagli nel 1929-30, era stato pubblicato dai Rozzi sin dall’inizio, nel lontano 1894. Quella era l’unica accademia umanistica allora esistente a Siena. I Fisiocritici, che avevano svolto anche un’attività culturale in parte sostitutiva di quella degli Intronati nel corso dell’Ottocento, si concentrarono sulle scienze ‘esatte’ (si pensava un tempo, e si diceva).

L’idea di un’Accademia degli Intronati riportata al primissimo ‘500 si basa non soltanto sulla lettera di un umanista riseduto in Concistoro più volte, ambasciatore e quant’altro, e anche filo-mediceo come tanti altri. Egli però parlò di fondazione da parte di “sei nobili senesi” nel 1525, probabilmente per accreditarla e accreditare se stesso: alla reputazione si teneva molto. Sennonché la data non ha altre conferme per cui si deve pensare piuttosto al ’27-‘28, e dei ‘fondatori’ grosso modo sicuri si parla solo di Antonio Vignali, l’Arsiccio, autore della dissacrante Cazzaria sempre poco rintracciabile nell’editoria italiana (ma ora edita anche in inglese) e Marcantonio Piccolomini, il Sodo.

Furono anni difficili quelli, per la politica (uccisione di Alessandro Bichi, 1525) e gli eventi militari (battaglia di Camollia, 1526, e sacco di Roma, 1527-28), per cui la concorrenza dei Rozzi, costituitisi nel 1531, e anche la successiva necessità di creare una sorta di identità culturale dell’Accademia senza alimentare dubbi di eterodossia e di ribellismo possono aver fatto parlare di 1525 e di ‘accademia’. La designazione magniloquente era gradita all’élite cittadina – ormai quasi tutta volta alla nobilitazione – che aveva un rapporto privilegiato con il potere politico.

La denominazione di ‘accademia’, in opposizione alla umile ‘congrega’ dei Rozzi, è frutto quindi di una volontà degli Intronati successiva (di quanto?) alla sua prima costituzione. Il loro documento più antico conservato, a quanto pare, porta la fondazione al 1527-28, al “tempo che le armi de’ barbari” impedirono “tutti li esercizi de le lettere”. Allora “si adunorno ne la nostra città alcuni spiriti gentili in diverse qualità di dottrina eccellenti” che “disposero di fondare una congregazione” per schivare “pensieri e tutte le altre cure mondane” per occuparsi delle lettere “così volgari come greche e latine (…) dando libertà a ciascuno di detta congregazione”, essendo “fermo loro proponimento di fingere di non intendere e non curarsi di nissuna altra cosa del mondo, (per cui, n.d.r.) lo’ piacque di pigliar nome d’Intronati, e che questa loro adunazione si chiamasse la Compagnia delli Intronati”.

L’Accademia quindi, nata come associazione culturale tra le tante quando si poteva, fu ricreata soltanto dall’alto, da un regio decreto del 1941 che consentì all’Istituto comunale delle arti e delle lettere, divenuto Accademia nel 1937, di assumere la designazione di ‘Accademia Senese degli Intronati’. Che Siena volesse gareggiare con la Regia Accademia d’Italia? Non stupirebbe, dati i precedenti magniloquenti.

Certo, la Biblioteca comunale costituita grazia alla cultura e generosità di Sallustio Bandini, a mio avviso più ‘grande’ di altri settecentisti ben più noti, fu dapprima biblioteca del’Università e mai, a quanto pare, degl’Intronati. Della quale Accademia, semplicemente, la Biblioteca occupò il grande salone, per cui fu a (non de) Gl’Intronati come dice la elegante iscrizione antica cui fu aggiunto sotto (non so dire quando) la bruttissima precisazione, in comparazione, Biblioteca Comunale sottostante.

Non fu difficile il cambio di destinazione, data la ‘svolta’ del 1802, ma la Biblioteca fu infatti detta anche, più correttamente, alla Sapienza“.

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