“Lo Strappo” è il titolo del progetto di installazione fotografica che sarà allestito da giovedì 17 a domenica 20 febbraio presso la sala S.E.T. del Politeama di Poggibonsi. Un titolo di grande impatto per una mostra interattiva che vuole raccontare in modo crudo e veritiero le fasi e i processi interiori ed esteriori dell’impatto che la violenza ha su una persona. Il progetto è nato dall’idea di Costanza Mascilli Migliorini, presidente dell’associazione Aps Echoes. Alla sua realizzazione hanno lavorato Erika Rubino, che ha curato la parte fotografica, Gabriele D’Italia, che ha realizzato la musica immersiva e da Carolina Marconi, che si è occupata delle installazioni.

“Lo Strappo”, un percorso sulla violenza sulle donne
La violenza sulle donne, in ogni sua forma, è una tematica molto complessa e forse ancora troppo sottovalutata nella nostra società. A raccontarla in modo diverso e crudo sono un gruppo di giovani ragazzi e ragazze, che hanno pensato a un’installazione fotografica interattiva, che porta lo spettatore a vivere in prima persona quella che è la violenza e le conseguenze che questa ha sul corpo della vittima. Ad ispirare la mostra è stato un fatto realmente avvenuto, che vede protagonista una bambina di nove anni che, a causa di una situazione familiare degradante, si trova a subire violenze da un uomo in una cantina.
“In ambito professionale” racconta Costanza Mascilli Migliorini “ho avuto spesso a che fare con la questione della violenza e dell’abuso. L’intenzione di creare un progetto del genere nasce dalla consapevolezza che la violenza viene trattata forse non al passo con quello che è realmente e quello che c’è effettivamente. Spesso, infatti, manca la capacità di comprendere quella sensazione di ambiguità, del tenere sotto scacco, di compartecipazione e di corresponsabilità dell’accaduto. Spesso lo stupro viene trattato in maniera concettuale, ma questo è solo la base”.
“Dobbiamo andare a vedere quello che c’è sotto” aggiunge la presidente di Aps Echoes “quello che realmente è il vissuto. Il punto non è la violenza in sé, ma lo strappo che la violenza crea con la società, con gli altri, nelle relazioni, con la legge, con Dio. Lo strappo è qualcosa di molto profondo: è come mangiare la mela e cadere dall’Eden, ritrovandosi a convivere con un peccato originale che continua per tutta la vita. Non si riesce a uscire da quella situazione di sporco, vergogna e senso di colpa, perché quello ormai è diventata una nuova legge. La vittima vive in una situazione di debito insanabile con il mondo”.
Un loop per ricreare le sensazioni dietro alla violenza
Quella che sarà visitabile al Politeama nei prossimi giorni sarà quindi la ricreazione fotografica di quello che avviene con una violenza, e lo spettatore assumerà lo sguardo della vittima. Le foto rappresentano metaforicamente l’evento, che si basa su un fatto veramente accaduto. L’intero percorso è un’esperienza visiva, uditiva e tattile, che ha l’obiettivo di sensibilizzare e avvicinare lo spettatore al vissuto emotivo, mettendo in secondo piano l’aspetto di denuncia e di retorica che spesso si palesano in seguito al racconto di una violenza. Per questo motivo le immagini sono crude, documentaristiche, in modo da raccontare senza fronzoli qualcosa di atroce come un abuso. Quello che si crea, grazie alla musica immersiva che non si ferma mai e al percorso circolare, è un vero e proprio loop, dal quale lo stesso spettatore avrà difficoltà ad uscire.

“Lo Strappo”: immagini crude per raccontare la verità
“Si tratta di un percorso immersivo” racconta la fotografa Erika Rubino “fatto di foto e di alcune installazioni. E’ un percorso individuale, all’interno del quale lo spettatore dovrà fare delle cose. Abbiamo voluto creare un loop: la mostra è fatta in senso circolare per creare questa immersione e non uscire da lì. L’obiettivo è quello di creare empatia per la vittima: lo spettatore si mette nei panni di essa. Il loop parte dalla musica, con suoni, rumori, martelli, cacciaviti e tutto quello che puoi sentire in una cantina, dove si è consumata la violenza. Si prosegue poi in una stanza in cui lo spettatore è solo e si mette nei panni della vittima. Il mio approccio a questo progetto è stato fin da subito documentaristico. Ho voluto ritrarre questa violenza nel modo più crudo e impattante che potevo, volevo andare dritta al punto”.
Prima presentazione de “Lo Strappo” a Firenze
“Lo Strappo” è un percorso fotografico crudo, reale e drammatico che vuole lanciare un messaggio “rivolto a tutti”. “Il problema” aggiunge Erika Rubino “è culturale e riguarda la violenza in senso ampio. Vorremmo sensibilizzare tutti e parlare a tutti. Ci ha fatto piacere che sui social stia girando l’hashtag #questoerailmiocorpobastardi, con cui molte persone, sia uomini che donne, si fotografano con il cartello del nostro progetto”.

L’installazione fotografica che sarà visitabile nei locali del Politeama dal 17 al 20 febbraio ha esordito lo scorso novembre nella Biblioteca Villa Bandini, in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Nonostante la mostra sia stata vietata ai minori di 18 anni, “si sono presentati ragazze e ragazzi di venti anni, uomini e donne di varie età”.
L’arte per affrontare tematiche sociali delicate e profonde
“Lo Strappo” dimostra come l’arte, ancora una volta, rappresenta un valido strumento per affrontare tematiche di grande importanza sociale come la violenza sulle donne. “L’arte è sensibilità” sostiene la fotografa Erika Rubino “e se non ce l’hai non riesci ad affrontare certe tematiche. L’arte arriva all’anima e forse è il mezzo migliore per parlare di un problema e per risolverlo”.
Della stessa opinione è Costanza Mascilli Migliorini, ideatrice del progetto. “L’arte è fondamentale” sottolinea la presidente dell’associazione Aps Echoes “perché rispetto alle tematiche sociali più difficili da affrontare crea la possibilità di lanciare un messaggio e di parlare con entrambi gli emisferi. Per qualsiasi tematica sociale più delicata c’è una parte concettuale che è nell’emisfero sinistro, mentre tutto l’aspetto artistico è nell’emisfero destro. Forse è con l’insensato e con l’illogico che possiamo realmente sciogliere i problemi che poniamo in maniera logica e concettuale. Per questo l’arte è la soluzione secondo me”.