L’intervista a Paolo Corbini, direttore e factotum dell’Associazione delle Città del Vino

Oltre 30 anni di vita, centinaia di comuni Italiani associati, numerose attività e pubblicazioni, una rete di programmazione a supporto dei territori. È l’Associazione nazionale Città del Vino, una realtà importante nata a Siena nel 1987 ed ancora oggi punto di riferimento del mondo enologico e dell’enoturismo.

Si deve anche a quella iniziativa senese (nata con il supporto di 39 comuni) il riscatto del vino italiano, il suo rinascimento iniziato all’indomani dello scandalo del vino al metanolo che nel 1986 gettò nella disperazione un sistema socio economico importantissimo e causando addirittura decessi e infermità permanenti. Oggi la crisi che sta investendo l’enologia ed il turismo del vino è diversa, ma la volontà e la mentalità della rinascita è la stessa.

Lo sa bene Paolo Corbini, direttore e factotum dell’Associazione delle Città del Vino, che da decenni porta avanti un lavoro di grande rilevanza: “La crisi da Covid-19 – spiega – lascia pesanti perdite in termini di giro d’affari. Se pensiamo che nel 2019 il nostro Osservatorio sul turismo del vino ha stimato circa 15 milioni di enoturisti in giro per le strade del vino italiane con un giro d’affari di oltre 2 miliardi e 700 milioni di euro e che quest’anno tutto questo afflusso di denari sui territori sarà quasi del tutto annullato già abbiamo un dato su cui riflettere. Dall’altro canto questa crisi ci ha dimostrato che i territori rurali sono luoghi più salubri dove si può vivere in sicurezza una esperienza di vacanza molto coinvolgente. Il turismo interno, che causa virus si sta sviluppando, può essere una opportunità da cogliere. Diventare turisti in casa propria. Si possono fare scoperte straordinarie, conoscere persone e luoghi, ambienti e cibo anche a pochi chilometri da casa propria. Quello che comunque serve sono servizi migliori, e – ad esempio – la certezza che tutti i luoghi siano raggiungibili dalla rete internet. Questa è condizione  essenziale per ogni idea di sviluppo che si voglia avere“.

La pandemia ha messo in ginocchio tutta l’intera filiera enologica e per certi versi ricorda la crisi attraversata negli anni ‘80 per cui è nata l’associazione Città del Vino. Come allora, si può parlare di opportunità da sfruttare per il futuro ed il rilancio del settore?

Da grandi crisi, grandi opportunità. Non è una frase fatta ma un dato oggettivo. I territori del vino hanno molte chance da sfruttare, purché come dicevo si investa seriamente nei servizi. Il governo centrale e le Regioni devono mettere a disposizioni risorse; superata la fase d’emergenza e messe un po’ di toppe qua e là, occorre fare un grande sforzo per programmare come e dove investire: qualità dell’accoglienza, reti web, infrastrutture viarie migliori, sostegno alla giovane imprenditoria, rilancio dei territori rurali, incentivi ai recuperi edilizi e al riuso degli immbobili esistenti. Le cose da fare sono molte andrebbero programmate dentro una visione che a volte stenta a palesarsi dalle misure prese a Roma”.

Si è appena conclusa l’assemblea nazionale delle Città del Vino. Quali novità per il futuro dell’Associazione e del mondo del vino?

“E’ stata una assemblea ‘tecnica’ in quanto avevamo necessità di fare alcuni cambiamenti di Regolamento e Statuto. Ma è stata comunque molto partecipata. E di futuro abbiamo parlato. Soprattutto della necessità di essere sempre più uno strumento di “lobby” per i territori del vino sedendo ai tavoli nazionali e regionali dove si discute della filiera vitivinicola, di turismo enogastronomico, di sviluppo sostenibile. Il mondo del vino deve ora superare la crisi determinata dal Covid-19. Le cantine sono piene di vino invenduto perché sono rimasti chiusi ristoranti e alberghi e il turismo si è fermato. Adesso c’è una lenta ripresa, ma il vino resta in cantina. E tra poche settimane si vendemmia di nuovo. Reggono un po’ meglio i grandi nomi dell’enologia perché produzioni più limitate e magari già vendute o prenotate da tempo. Ma anche l’export soffre causa la pandemia”.

L’iniziativa “Capitale del vino” che cosa è?

“L’idea è di avere ogni anno una città simbolo di un territorio che celebra la sua identità di città del vino, sulla scorta di quello che avviene per la capitale italiana della cultura, tanto per intendersi. L’idea è di mettere al centro della comunicazione, per un anno, un luogo simbolo e il suo territorio sia attraverso le attività comunque previste sia con eventi straordinari che abbiano come filo conduttore la cultura del vino. Avremmo voluto lanciare l’idea già da tempo ma il virus ha impedito anche questo. Per il 2021 lanceremo il primo bando per avere le candidature. Vediamo come rispondono i territori e i Comuni”.

Il futuro sarà sinonimo di qualità e maggiori garanzie per il consumatore? 

“Assolutamente. La qualità è un elemento imprescindibile. Qualità vera, certificata. I vignaioli già la fanno da sempre e va a loro il merito di averla saputa comunicare. Le garanzie per il consumatore sono le Denominazioni di origine: i vini Doc e Docg (che per l’Europa ora sono tutti Dop) sono la garanzia della qualità”.

Cosa possono fare i comuni e le Regioni che sono la linfa delle Città del Vino?

“Devono sostenere progetti e visioni che valorizzino il territorio rurale non come un ambito marginale, come è stato fatto in passato, ma come risorsa da salvaguardare. E’ dalla terra che giunge il cibo. Per questo va curata e non sfruttata. Ad esempio limitando il consumo di suolo, facendo piani regolatori rispettosi dei paesaggi e delle peculiarità ambientali. In molti lo hanno capito. L’ultimo grande successo è aver ottenuto il riconoscimento Unesco per le Colline del Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene. Questa è la strada giusta che significa anche mettere al bando la chimica e gestire la terra in modo naturale e che tuteli la salute di chi ci lavora e vive. Quel riconoscimento è figlio anche di questo: non è stato dato solo perché le colline vitate sono belle ma anche perché sono adesso gestite in modo sempre più salubre. E i Comuni Città del Vino hanno avuto un ruolo centrale mettendosi assieme e condividendo le scelte da fare con il mondo produttivo“.

Crede che il ruolo dei Consorzi ed una sinergia con le amministrazioni possa essere determinante per la ripartenza?

“Si. Collaborare e fare rete serve sempre. Ognuno per la propria parte e nel proprio ruolo. Ma pubblico e privato devono incontrarsi e condividere le cose da fare. Città del Vino invita sempre i propri Sindaci e i produttori a fare rete”.

La tecnologia è stata fondamentale in questi mesi per far respirare le aziende, ma il valore resta il territorio. Come sarà possibile conciliare le due cose senza che l’una comprometta l’altra?

“Le nuove tecnologie sono un supporto ormai irrinunciabile. Il Covid-19 ci ha costretti a dialogare tra noi con il web. Lo potevamo fare anche prima, ma non ne avevamo l’abitudine. Ora possiamo essere distanti ma vicini. Per comunicare e condividere informazioni. Poi però occorre ritornare ad una vita di relazioni vere, fisiche, autectiche, perché il gusto di un vino dal web non lo potrò mai avere. Il web è stato utile anche per aumentare le vendite di vino on line, pratica fino a ieri non così svilippata. Può essere una opportunità di business per le aziende anche con l’estero. Devono attrezzarsi presto ed imparare ad usare questi strumenti. Non tutti lo sanno fare”.

Può dirmi quali sono adesso le priorità del mondo del vino?

“Sbloccare i mercati internazionali e avere di nuovo turisti stranieri in Italia, ma tutto dipende da come si sviluppa la pandemia. Di danni ne ha già fatti anche troppi. Sostenere le aziende che intendono fare innovazione sul piano commerciale e aiutarle se sono in difficoltà finanziaria perché se chiude una azienda vitivinicola il danno non è solo per l’imprenditore e la sua famiglia, ma per tutto il territorio. Perché chi cura la vigna e la campagna in generale cura anche noi stessi. Non dimentichiamolo”.

Il tema è vasto e richiederebbe molto tempo per una analisi più ampia, ma lei su cosa scommetterebbe in questo momento relativamente al settore enologico?

“Sui produttori, sulle loro facce, le loro storie. Ho la fortuna di conoscerne tanti e posso garantire che dietro ad ogni loro bottiglia c’è tutto un patrimonio di idee, di cultura, di fatica, di passione, che vanno assolutamente salvaguardati”.

Dopo Villa Chigi a Castelnuovo, sarà Villa Parisini nel comune di Monteriggioni la nuova sede dell’Associazione?

“E‘ una ipotesi a cui stiamo lavorando; dipende anche dalla volontà dell’Amministrazione provinciale che è proprietaria dell’immobile. Potremmo coabitare con gli amici di Città dell’Olio con cui condividiamo molte cose che riguardano i nostri territori; e poi molti Comuni sono sia città del vino che città dell’olio. Sono fiducioso”.

Le Città del Vino hanno ricordato Paolo Benvenuti, storico amministratore recentemente scomparso. Chi era per lei Benvenuti?

“Un amico, prima di tutto. Ha diretto l’Associazione per quasi trent’anni e sarebbe ancora al suo posto se la malattia non lo avesse portato via all’affetto dei suoi cari. Mi ha insegnato molte cose, prima fra tutte il valore dei rapporti umani. Con lui ho girato l’Italia in lungo e in largo ed era sorprendente vedere quante persone conoscesse e la stima che riceveva da tutti. Molte delle idee che oggi diamo per scontate sono il frutto dei suoi pensieri”.

Luisa Valenti

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