La mostra di Carlo Vigni sarà aperta al pubblico dal 30 ottobre al 31 gennaio presso il Santa Maria della Scala

E’ stata presentata questa mattina Carlo Vigni – L’industria della polvere, l’esposizione fotografica che dal 30 ottobre fino al 31 gennaio sarà aperta al pubblico presso il Santa Maria della Scala. Gli scatti mostrano le immagini di una delle architetture industriali più discusse dello scorso secolo: La Torre dei pomodori di Isola d’Arbia, ex impianto Idit ed esempio di archeologia industriale.

Da sempre rappresentazione del grande sogno di ripresa economica la Torre, nell’immaginario collettivo, è segno di uno sviluppo industriale in un territorio, quello della campagna senese, lontano dalla secolare cultura contadina. Oggi dopo cinquantacinque anni il silos di ferro, vetro e cemento fa parte del patrimonio paesaggistico della Toscana del sud ma molte sono le perplessità sulla necessità di manutenzione di uno scheletro architettonico abbandonato e degradato. La mostra in tal senso si pone come scopo quello di riaprire un dibattito sul suo destino.

“Da tempo mi interrogo sulla sorte della Torre dei pomodori – ha detto il sindaco di Siena Luigi De Mossi – quest’opera nella sua eccentricità è attaccata tanto al futuro perché al suo fianco passa la ferrovia, fonte di trasporto più adeguata per il futuro della nostra società, quanto al passato o meglio – ha sottolineato – di un passato industriale mai nato, mai decollato, è stata una morte prima che una nascita. Ecco perché – ha aggiunto – dalle foto traspare il languore e la malinconia per le opportunità in essa. In fondo questa struttura è parte della nostra vita e provoca, come fanno le stessi immagini di Vigni, dei ricordi di una idea di città che dovrà ricollocarsi in maniera diversa”.

Per quanto riguardano i progetti di riqualificazione della struttura, due sono le ipotesi avanzate, come ha detto il Sindaco: “La prima idea, lanciata dall’architetto Mezzedimi è di creare un centro per i cicloamatori vista la presenza della Francigena, l’altra idea dell’architetto Stefano Neri riguarda il progetto di creazione di un museo di arte contemporanea Insomma – ha detto De Mossi – mi sembra una struttura che offre molti spunti per chi ha voglia di guardarla in altro modo e che non sia solo un’industria della polvere”.

Quello che resta dell’ex stabilimento Idit lungo la Cassia e la linea ferrovia Siena – Grosseto è, come ha detto Carlo Nepi, architetto e curatore della mostra: “Al primo posto nella lista degli ecomostri nazionali secondo le associazioni ecologiste e paesaggistiche. L’impianto – ha spiegato – era destinato alla liofilizzazione dei prodotti agricoli, principalmente pomodori e frutta, attraverso la disidratazione che trasformava il frutto naturale in prodotto secco. Quel che contava era la prospettiva dello sviluppo, il miglioramento delle condizioni economiche, le possibilità di una nuova occupazione”.

Fallita prima di nascere, il simbolo di questo disastro è proprio la torre, inizialmente coperta di vetro e poi andata in degrado, spogliata di ogni rivestimento e di tutte le parti fragili, fino all’essenzialità della sola struttura del nudo scheletro di cemento e ferro. Un’immagine nella memoria di molte generazioni. “Mi ha sempre colpito la dimensione simbolica di questa torre di oltre setta metri che come un campanile laico, devoto al culto della produzione e del progresso ho sempre visto da bambino – così racconta come è nato il primo approccio con la struttura il fotografo Carlo Vigni – simbolo che però non ha nulla dell’operosità contadina della gente della val d’Arbia, ma di uno sfortunato evento. Quindi la mia non è stata una ricerca delle tracce di lavoro ma di verifica di un’idea: se a distanza di mezzo secolo la polvere che si annunciava al telegiornale di voler produrre all’interno di questa scenografia c’era effettivamente”.

La mostra è curata da Carlo Nepi e da Francesca Sani con il coordinamento progettuale di Jacopo Armini e i testi di Giovanna Calvenzi che così si è espressa in merito alle opere di Carlo Vigni: “Egli registra il disfacimento degli interni, l’accumularsi dei detriti, l’infiltrarsi degli alberi, l’infittirsi delle presenze vegetali. Sceglie un linguaggio documentario che indaga e registra in modo fedele. Sente, forse, l’influenza della nuova ‘oggettività’ che dopo la prima guerra mondiale aveva tributato un’ammirata attenzione alle macchine, ai luoghi dell’industria. Fa dialogare gli interni con il paesaggio che circonda le persistenze industriali”.

Le interviste al fotografo Carlo Vigni, all’architetto curatore della mostra Carlo Nepi e al sindaco di Siena Luigi De Mossi

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