Le storie di Siena e dei senesi nella rubrica di Arianna Falchi

Oggi il nostro filo ascolta il racconto di Federico Monga, direttore de Il Mattino di Napoli,

contradaiolo del Bruco e innamorato follemente di Siena

Il nostro filo oggi attraversa l’Italia e arriva a Napoli. E lì, trova un pezzo di Siena. Sì, perché a dirigere una testata importante come Il Mattino, c’è un senese d’adozione, un protettore del Bruco, una penna nata tra le mura della città e che ancora oggi ama parlare di Palio, ricordando aneddoti ed emozioni. Federico Monga, torinese, direttore de Il Mattino di Napoli, parla con la senesità nelle vene, con via del Comune sempre nei pensieri e con una forte nostalgia, anche se non perde occasione per raggiungere la città del Palio.

Federico Monga, come ha conosciuto Siena?

Sono arrivato a Siena nel 1982, mia nonna mi regalò questo viaggio come premio per l’esame della quinta elementare. La moglie di Tono Ducci, storico contradaiolo del Bruco, era la sorella gemella di una nostra amica di Torino e siamo andati a trovarli per visitare Siena. Vedemmo anche il Palio di luglio, mi ricordo che vinse il Montone. Fu bellissimo e tornai a casa entusiasta di Siena e del suo Palio. Due anni dopo venimmo a vedere la prima Carriera nel Bruco, ospiti proprio a casa di Tono e Carla Ducci. Se non mi ricordo male era il Palio di Baiardo. Il primo legame con Siena e la contrada di via del Comune è stato quello.

Poi come si è consolidato il rapporto con il Bruco e con Siena?

Sono rimasto travolto dalla passione del Palio e dalla sua storia. Ho subito capito che il Palio era una grande fortuna per un essere umano. Si può avere molte passioni, per lo sport, per il lavoro, per la famiglia… ma quella è una cosa che ti condiziona la vita, una vera appartenenza. Mi sono innamorato delle bandiere, dei canti, dell’andare dietro al cavallo, delle rivalità. E poi lo stare insieme e l’allegria che c’è, anche se ero un ragazzino, mi colpiva vedere grandi e piccoli piangere e gioire insieme. Tutte le volte che correva il Bruco, tornavo. Poi è arrivata l’università. Ho fatto Scienze Economiche e Bancarie: potevo restarmene a Torino o scegliere luoghi più vicini, ma volevo fare un’esperienza fuori e in accordo anche con i miei genitori, ho scelto Siena sia per la buona università che per la famiglia Ducci, nostri amici, nella quale potevo trovare appoggio. Poi da lì non ho più smesso ed ho frequentato la contrada.

Lei ha fatto parte anche del giornalismo senese…

Ho cominciato a fare il giornalista proprio a Siena. I primi articoli li ho scritti per Università Toscana, un mensile che usciva nelle sedi universitarie. Era un mix tra lo stile italiano e quello americano, molto interessante. Da lì andai a La Mattina, cronache cittadine de L’Unità. Con me c’erano alcuni giornalisti senesi come Paolo Corbini e Augusto Mattioli. Poi dopo qualche anno la testata entrò in crisi e mi sono spostato a lavorare in un’agenzia di comunicazione con David Rossi, David Taddei e altri. Io mi occupavo prevalentemente della parte giornalistica. Poi intorno al ’99, ricevetti la mia prima proposta per un vero contratto in Calabria, da un direttore toscano. Accettai e andai a vivere lì, portandomi comunque Siena nel cuore. Così iniziò la mia carriera in giro per l’Italia. Ovviamente, tornavo appena mi era possibile. Ho visto la prima vittoria con Berio, nel 2003, ma non sono riuscito a venire per la vittoria del 2005. Mi ricordo che ero a Torino e faceva un caldo incredibile. Aspettavo il Palio e mentre andavo al giornale, passando dal parco del Valentino, vidi passare i cavalli delle carrozze: in quel momento pensai a quanto mi mancava Siena. Nel 2010 sono diventato vice direttore de Il Mattino e dal 2 giugno del 2018, sono direttore a Napoli.

Cosa è le è rimasto di Siena?

Sicuramente la schiettezza delle espressioni. I senesi sono persone di forti passioni e quello lo sono anche io. Non mi piace la noia ed il Palio è l’antitesi della noia. Ci vuole un pizzico di follia, alcune pulsioni e passioni vissute in quei frangenti non si possono raccontare. Nel ’96, mi ricordo bene che indossai per l’ultima volta la camicia che usavo sempre per gli esami universitari. A vittoria di Palio, finì tutta strappata. Mi ricordo di aver provato un’estasi pura. Obiettivamente la vittoria del Palio ti dà una sensazione unica.

Cosa pensa che serva per raccontare il Palio e qual è la differenza tra il racconto dei giornalisti senesi e quello dei giornalisti esterni alla città?

Voi lo raccontate per i senesi. Dovete spiegare delle cose e scendete in alcuni particolari per un pubblico informato che non ha bisogno di farseli raccontare. Il giornalista esterno, invece, ha proprio quella missione: deve raccontare le passioni e come mai una città nota nel mondo per le sue grandi bellezze, per 8 giorni all’anno si ferma e impazzisce per una corsa di cavalli, che poi una corsa di cavalli non è. Deve saper raccontare che quei giorni sono la sublimazione di un anno, di lavoro e di impegno collettivo. Diciamo che forse è quasi un volo più alto, stai raccontando una magia unica.

La cosa che le manca di più?

Tante cose. Poter camminare attraverso la storia, le luci fioche di Siena, la bellezza ed il venticello di Piazza del Campo. Mi mancano i suoi rumori ed i suoni. Il suono delle chiarine. Una cosa che mi ha sempre impressionato, poi, è il silenzio. Quello secondo me è davvero la calma prima della tempesta delle emozioni, quel silenzio glaciale che cade sia prima dell’assegnazione che nel momento in cui il mossiere chiama i posti al canape. In quel silenzio si può respirare sia ansia che speranza.

Arianna Falchi
Penna e cuore, dal 1991. Credo nella potenza delle parole, unica arma di cui non potrei mai fare a meno. Finisco a scrivere sui giornali un po' per caso, ma è quella casualità che alla fine diventa 'casa' e ho finito per arredarla a mio gusto. Sono esattamente dove vorrei essere. Ovvero, ovunque ci sia qualcuno disposto a leggermi.

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