Le storie di Siena e dei senesi nella rubrica di Arianna Falchi

Oggi il nostro filo ordina un cocktail su misura! A prepararlo è Alice Razzi,

senese e contradaiola della Giraffa,

partita per l’Olanda alla scoperta del mondo della mixologia e del bartending

Voliamo oltre i confini. Oltre le mura senesi, oltre il territorio toscano, oltre l’Italia. Oltre i confini del gusto. Il nostro filo oggi arriva in Olanda, vicino l’Aia, dove una giovane senese, contradaiola della Giraffa, ha deciso di “rompere il ghiaccio” nel mondo del bartending. Alice Razzi, una personalità travolgente, una vivace curiosità e una gentilezza nella voce che sembra accarezzare le orecchie di chi l’ascolta, mentre parla del suo percorso, della sua storia iniziata sulle lastre senesi e che lei, con una determinazione spiazzante, sta ancora scrivendo, mettendocela tutta. Alice oggi lavora in uno dei locali più apprezzati d’Europa per quanto riguarda il mondo dei cocktail, di tutti quei gusti che girano in quella che lei ci descrive come “cucina liquida”, fatta di ricette e dosaggi precisi per creare un drink su misura.

Alice Razzi, come è arrivata in Olanda?

Mi sono spostata in Olanda alla fine del 2016 ed ho iniziato a lavorare in un ristorante italiano, in quanto non avevo una grande conoscienza dell’inglese. Il mondo dei cocktail e del bartending mi affascinava già da tempo, avevo avuto anche altre esperienze nel campo della ristorazione ma a Siena si vedono poche cose riguardanti i cocktail bar: quindi ho voluto tentare andando all’estero per imparare la mixologia. Dopo un anno mi sono licenziata dal ristorante italiano (dove facevo caffè e cappuccini per la maggiore), per cercare di avvicinarmi di più al mio mondo. Ho fatto una scuola di inglese e sono stata assunta in un ristorante ad Amsterdam dove avevano anche un banco cocktail, anche se molto basico. Poi ristorante che mi ha pagato metà retta.

Quando ha iniziato gli studi?

Il nuovo ristorante mi ha pagato metà della retta di una scuola internazionale. Si chiama European Barman School ed ha sedi in tutta Europae alcune negli altri continenti. Questo succedeva nel settembre del 2018: per un mese ho abitato in un ostello ad Amsterdam, in una camera con altre 7 persone. Quello è stato un po’ complesso, perché io studiavo fino alle 3 di notte con una piccola luce per non disturbare gli altri… Diciamo che è stata un’esperienza! Alla scuola ho iniziato ad imparare qualcosa di questa professione: innanzitutto i cocktail classici che sono circa 72, categorizzati e riconosciuti. Ci hanno insegnato le ricette, la storia, i tasting. Dopo un mese ho sostenuto l’esame ed ho preso il diploma. Mi sono diplomata con un punteggio di 92.1, un buon risultato. Lì è stato molto importante anche per i rapporti che ho creato con gli insegnanti ed altri professionisti del bartending.

Finita la scuola, cosa è successo?

Dopo poco tempo, sono stata contattata da un ragazzo che avrebbe aperto un cocktail bar. Sono stata notata su Instagram, che ormai è diventato un po’ come un curriculum. Non sono mai stata molto “social” ma ormai ci faccio attenzione, proprio a fini lavorativi. Sono stata chiamata per far parte di questo team di 3 persone, anche sotto consiglio della scuola che ha apprezzato il mio esame.

Cosa c’è di diverso rispetto al lavoro che facevi prima?

Qui si fa sul serio. Ho iniziato a lavorare con un ragazzo brasiliano e uno dei Caraibi. Mi hanno un po’ trasmesso la loro conoscenza, ho rubato molto con gli occhi. In questo posto non c’è il menù, il concept è tailor-made, facciamo cocktail su misura. Io vado dalle persone e chiedo cosa vogliono bere, se cose fresche, se dolci, se preferiscono le parti del rum… si tratta proprio di un’analisi del gusto del cliente: una bella sfida. All’inizio avevo paura, anche perché pochi mesi dopo l’apertura siamo stati nominati Best New Cocktail Bar 2019 dal magazine Esquire. Poco tempo dopo, anche il magazine Entree ci ha nominato. La nomina funziona quasi come per gli Oscar, anzi, è un vero e proprio Oscar del mondo della ristorazione e del bartending. Alla serata delle premiazioni, vengono annunciate le nomine e poi il vincitore. Tutto è stato molto emozionante, ho visto tante persone che ammiro, ho incontrato tante persone conosciute nell’ambiente.

Qual è la sua capacità maggiore?

Non ho studiato tanto ma credo di avere tanta capacità a livello di sapore. Un altro bartender magari ti può dire la storia e le informazioni del prodotto, io riesco a mettere insieme i gusti e fare abbinamenti che mai si penserebbero… Come la tequila ed un uovo, ad esempio! La mia è una cucina liquida. Devo bilanciare i sapori, ho scoperto tante cose e gusti, come l’umami che sarebbe il quinto sapore.

Come si approccia alla richiesta del cliente?

Quando vado a costruire il cocktail, vado a ricercare le cose che il cliente chiede, scegliendo tra i prodotti che ho dietro le spalle. Metto tutto insieme partendo dalle ricette basi e aggiungendo le mie idee, scambiando gli ingredienti. Si tratta sopratutto di una questione di bilanciamento tra i sapori: a volte mi sono capitati clienti che volevano ritrovare nel drink degli aromi particolari, come il profumo del camino, dell’erba tagliata, dell’affumicato… Prima di mettere la bevanda nel bicchiere devo essere sicura che sia perfetta. Assaggio con una goccia sul dorso della mano.

Tra i piani per il futuro, c’è quello di tornare a Siena?

Assolutamente sì. A me Siena manca tanto. È vero che si dice che non c’è nulla, però il cuore che c’è tra le strade di Siena, non si trova altrove. Dopo tanti anni fuori te ne accorgi ancora di più. Inoltre, ovviamente mi mancano la famiglia e gli amici. Questa estate sono tornata per una ventina di giorni. Ora vorrei tornare, ma tra il lavoro ed il Covid, è molto complicato. Sento che Siena mi chiama e che c’è bisogno di portarci le cose. Non si può lasciare spazio solo a bazar e franchising. Credo che il cocktail bar sia come la bottega artigianale: voglio girare ancora un po’ per imparare e per poter aprire qualcosa lì, aprire la porta e vedere le persone di casa mia.

Quanto è difficile capire il cliente?

Ho scoperto che c’è una parte de corpo che non mente: quando porto un drink, studio le espressioni del primo sorso. La reazione della faccia vuol dire tutto e le sopracciglia parlano.

Arianna Falchi
Penna e cuore, dal 1991. Credo nella potenza delle parole, unica arma di cui non potrei mai fare a meno. Finisco a scrivere sui giornali un po' per caso, ma è quella casualità che alla fine diventa 'casa' e ho finito per arredarla a mio gusto. Sono esattamente dove vorrei essere. Ovvero, ovunque ci sia qualcuno disposto a leggermi.

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