Simone Rossi, neurologo

Un libro che parla dei progressi nelle neuroscienze e di come lui stesso li ha affrontati. Una lettura che ci porta a scoprire come con la neuromodulazione è possibile interagire con le attività del cervello per curare malattie neurologiche e psichiatriche

È uscita il 10 settembre la brillante opera prima del professore Simone Rossi e intitolata “Il cervello elettrico. Le sfide della neuromodulazione”, un testo dove autore e storia coincidono nell’intrigante racconto dei progressi avvenuti nelle neuroscienze e di cui lo stesso Simone Rossi ne è protagonista, in quanto neurologo, scienziato, professore di neurofisiologia all’Università degli Studi di Siena, past-president della Società italiana di psicofisiologia e neuroscienze cognitive e attuale segretario della Società italiana di neurofisiologia clinica. Nella nostra intervista abbiamo cercato di capire come è iniziata questa passione per le neuroscienze ed abbiamo anche approfondito i temi trattati nel suo nuovo libro.

Perché ha deciso di dedicare la sua vita agli studi sul cervello?

Ho avuto la fortuna di fare qualche lettura illuminante alla fine del mio percorso di studi all università. Lessi il libro di un neurologo britannico che si chiamava Oliver Sacks, che incontrai di persona a Padova e rimasi folgorato da come lui spiegava questi casi clinici neurologici. Mi piacque molto l’impostazione. In più come spiego nel prologo del libro ci sono stati alcuni antefatti personali con la corrente che però non vi racconto qui, così lo leggete.

Ecco, parlando del suo libro, cosa si intende con il termine cervello elettrico?

Il cervello elettrico è la possibilità che hanno i nostri neuroni, le nostre cellule nervose di comunicare tra loro, grazie ad ampie reti neurali e attraverso delle giunzioni chiamate sinapsi, dove ci sono chiaramente delle sostanze chimiche. Il rilascio di queste sostanze chimiche, che si chiamano neuromediatori, è dovuto al passaggio di corrente fra un neurone ed un altro. Si parla di correnti infinitesimali. Da qui è venuta l’idea del cervello elettrico.

E’ possibile registrare l’attività del cervello?

Lo facciamo quotidianamente in clinica neurologica attraverso una metodica chiamata elettroencefalogramma, denominata appunto: registrazione della attività elettrica del cervello. Vengono quindi applicati degli elettrodi sulla superficie esterna della testa. Ovviamente le applicazioni dell’elettroencefalogramma in cui si parla nel libro, quelle sono un po’ più sofisticate per cui sono necessari anche tanti elettrodi e apparecchiature più sofisticate che utilizziamo nella routine clinica.

Lei parla di neuromodulazione, in che cosa consiste e come può curare le malattie neurologiche e psichiatriche?

E’ una branca delle neuroscienze, relativamente giovane, una trentina d’anni. Il concetto è che è possibile, fornendo dall’esterno delle correnti che vanno al cervello, modificare questa attività elettrica, intrinseca, dei neuroni. Quindi la neuromodulazione si può fare sia in modo invasivo, posizionando all’interno di strutture specifiche del cervello degli elettrodi, sia in modo non invasivo, quindi dall’esterno, senza necessità di interventi chirurgici. Questa modalità non invasiva può essere fatta sia tramite l’applicazione di campi di tipo magnetico, che poi si trasformano in elettricità, o tramite l’applicazione di deboli correnti sempre sulla superficie della nostra testa.

Che tipo di progressi sono avvenuti nelle neuroscienze e qual è la sua esperienza in merito?

Nell’ambito della neuromodulazione in dieci anni sono stati fatti progressi fondamentali. Basti pensare che con un intervento che facciamo anche qui a Siena che si chiama elettrostimolazione cerebrale profonda o dbs (Deep Brain Stimulation) è possibile posizionare degli elettrodi in particolari strutture del nostro cervello, che migliorano alcuni sintomi di tipo motorio, ad esempio il parkinson. La neuromodulazione non invasiva ha una efficacia paragonabile a quella di alcuni farmaci, in sindromi sia di tipo psichiatrico come la depressione farmaco-resistente, oppure anche in ambito neurologico stesso per esempio nel trattamento del dolore neuropatico cronico.

Parlando di parkinson, lei ha ideato dei dispositivi robotici indossabili che migliorano la vita dei pazienti, come funzionano?

Sono stati co-ideati insieme al professore Domenico Prattichizzo dell’Università di Siena di ingegneria. Sono delle cavigliere vibranti applicate alle caviglie destra e sinstra del paziente parkinsoniano che, con l’avanzare degli anni di malattia, ha un problema chiamato freezing della marcia , si congela in un posto e non riesce a muovere in avanti le proprie gambe. Ma con questi stimoli sensoriali, alternati a destra e sinistra, che il paziente riceve dalle cavigliere e che comanda grazie ad una app dal telefono, si ristabilisce la funzionalità di alcuni circuiti motori che controllano il movimento e questo problema può essere risolto

Qual è il suo giudizio sul progetto Neuralink di Elon Musk?

E’ un progetto visionario, come il personaggio in questione, che ha aspetti positivi tipo di innovazione tecnologica, perché all’interno della società Neurolink stanno sviluppando dei cip da posizionare all’interno del cervello che sono avanzatissimi da un puto di vista tecnologico e che credo possano rivoluzionare questo tipo di approccio. Ci potranno essere opportunità terapeutiche importanti per esempio per i pazienti che hanno perso la capacità di camminare e quindi di ricostituire dei canali di comunicazione fra cervello e midollo spinale e ci sono altri aspetti più pittoreschi. Per esempio Musk dice che attraverso il posizionamento di questi cip nel cervello sarà possibile fronteggiare in un futuro nemmeno così lontano l’assalto che l’umanità potrebbe ricevere dall’intelligenza artificiale. Mi sembra un atteggiamento più di tipo promozionale che altro.

Cosa ci si aspetta dal futuro, anche nello sviluppo delle nanotecnologie?

Mi aspetto che, soprattutto per chi ha subito dei traumi importanti al midollo spinale, ci possa essere un avanzamento terapeutico. Miglioramento di tutto quello che va sotto il termine di Braincomputer interface (BCI, letteralmente “interfaccia cervello-computer”) e ovviamente miglioramenti di tipo tecnologico che consentiranno di personalizzare sempre di più queste terapie come per esempio quella della stimolazione cerebrale profonda di cui parlavamo prima: aumentando l’efficacia e riducendo gli effetti collaterali che, purtroppo, a volte si manifestano.

L’intervista a Simone Rossi

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