peschereccio

Dopo uno sciopero durato quasi due settimane anche i pescherecci maremmani giovedì e venerdì sono tornati in mare

Già dagli inizi di marzo, le marinerie dell’Adriatico avevano iniziato a scioperare chiedendo misure contro il caro gasolio; le proteste si sono rapidamente intensificate, finché il 25 maggio è stato indetto uno sciopero dei pescherecci dall’Associazione Produttori Pesca, sottoscritto dai rappresentanti dell’80% delle marinerie italiane.

Lo stesso giorno, sulla banchina Toscana del porto di Porto Santo Stefano (che ospita la più grande flotta di pescherecci della provincia) sono arrivati gruppi di pescatori delle marinerie dell’alto e medio Adriatico a fare del vero e proprio picchettaggio, incitando lo sciopero e tentando di fermare gli equipaggi già in mare o in procinto di uscire. Alla fine, è stato trovato un accordo, e i pescherecci sono rimasti in porto, fino a qualche giorno fa, quando qualcosa dall’alto si è mosso.  

Dal picco al ribasso di maggio 2020, nel bel mezzo dell’esplosione mondiale della pandemia Sars-Cov-2, dopo due anni esatti, il prezzo del carburante per i pescherecci è aumentato di più del 250%; da gennaio 2022 in particolare, l’aumento è stato di più del 50%, cifre da capogiro. Non è difficile capire che, con il prezzo del gasolio duplicato in poco meno di sei mesi, i guadagni dei pescatori, già risicati da qualche anno a questa parte, sono stati prima drasticamente ridotti; una battuta di pesca rischia di diventare più occasione di perdita che di guadagno. 

In questo clima teso, in cui le varie marinerie non riescono a trovare accordi fra loro, la politica si è mossa rapidamente per raffreddare gli umori. In Gazzetta ufficiale è stato pubblicato il decreto che sblocca 20 milioni di euro destinati a fare da ristori al comparto pesca, ed è stato inoltre prorogato, fino a fine giugno, il credito d’imposta del 20% sul carburante per le attività di pesca in mare, già incluso nel decreto Energia.

Ma sarebbe fuorviante inquadrare la protesta dei pescatori solamente in un clima di rialzo dei prezzi del carburante dato dalla guerra russo-ucraina e prima ancora dalla pandemia. I pescatori italiani infatti navigano in acque incerte; da più di dieci anni vivono un periodo di forti contrazioni del comparto pesca, dovute in primo luogo ad un fermo pesca che ad oggi si attesa obbligatoriamente su 180 giorni annui, ma in secondo luogo anche a tutta un’altra serie di provvedimenti che, spinti da regolamenti europei, hanno reso particolarmente dura la vita dei pescatori, nel tentativo di ridurre lo sforzo di pesca e fermare la pesca a strascico per ridurre l’inquinamento, preservare l’habitat marino mediterraneo e molte specie che soffrono di spopolamento.

Ora, se è sicuramente vero che la pesca a strascico, molto diffusa nei porti toscani, non è un esempio di sostenibilità da seguire e incentivare, è anche vero che le ripercussioni dei provvedimenti nazionali (attuati in seguito a direttive europee) pesano sulle tasche di molti pescatori e famiglie del Paese, che certo non sono i diretti colpevoli della situazione di degrado cui vanno incontro i nostri fondali. Ed è parimenti certo che, per adesso, le principali conseguenze che i provvedimenti a difesa dell’habitat marino stanno avendo, non riguardano la preservazione del nostro mare, che è insidiato da pescherecci provenienti da tutto il mondo che non sottostanno alle nostre regole. Piuttosto i provvedimenti stanno facendo sì che nei supermercati e ristoranti vi sia un forte calo del pescato italiano, sostituito nell’ombra da prodotto proveniente dall’estero, venduto e acquistato a prezzi sleali, pescato con standard ambientali molto bassi rispetto ai nostri o allevato, e soprattutto importato, con tutte le conseguenze ambientali che questo può avere. Non basta quindi ridurre il prezzo del carburante o concedere ristori una tantum, è invece necessario un ripensamento dell’intero processo, che deve essere ambientalmente sostenibile, ma anche socialmente sostenibile, o a farne le spese saranno, come sempre e come stanno già facendo, i più deboli.

Eleonora Rosi
Sono una giovane studentessa della facoltà magistrale di Lettere, maremmana di nascita, ho lasciato l'Argentario da quattro anni per vivere e studiare a Siena. Mi interesso di politica, ambiente e attualità, con il proposito di capire e raccontare la cronaca di un territorio tanto antico e ricco di storia quanto vivo e vitale come quello senese.

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