In Val di Chiana il Bosco di Ogigia è una realtà innovativa e sostenibile

Con l’Ecogazzetta di questo sabato vogliamo raccontarvi una storia particolare, di un’agricoltura che ci ricorda quella dei nostri nonni, fatta con devozione e rispetto della natura, ma che in realtà è un’agricoltura nuova, innovativa, che si serve delle più moderne e recenti conoscenze per ristabilire un rapporto di cura verso la terra.

Il Bosco di Ogigia come luogo coltivato è attivo già dal 2013, mi sono procurata il terreno, era un mio grande desiderio; quindi, ho acquistato il terreno e ho iniziato a coltivarlo. – a parlare è Francesca, che con Filippo gestisce il Bosco di Ogigia in Val di Chiana – Da subito ho scelto delle strade alternative per coltivarlo, non volevo un semplice orto fatto in maniera tradizionale, avevo sentito parlare di tante tecniche diverse, un po’ più rispettose della natura, e quindi avevo voglia di sperimentarle. Tutto nasceva da un grande desiderio di stare più a contatto con la natura, proprio per imparare dalla natura, perché siamo così staccati che a volte ci mancano delle conoscenze di base, viviamo in questo mondo, in questo pianeta senza essere troppo consapevoli del suo funzionamento e della meraviglia della natura”.

Filippo e Francesca sono due giornalisti che, annoiati e insoddisfatti dalla frenetica vita del reporter e della conduttrice, si sono ritirati in Val di Chiana, dove lavorano al Bosco di Ogigia, un terreno fisico coltivato secondo nuovi approcci e metodologie, e contemporaneamente un sito Web in cui divulgano le loro scoperte:” Dal 2016 abbiamo iniziato a lavorare seriamente alla produzione di contenuti legati a questa necessità di Francesca di tornare alla terra e di raccontare quello che lei imparava.- Spiega Filippo.

L’approccio scelto è quello della permacultura, nata negli anni Settanta in Australia in risposta ad una situazione ambientale già critica. La permacultura si fonda su un approccio anche etico alle nostre attività e alcuni principi ne guidano l’applicazione, secondo Francesca:” È molto di attualità proprio perché è nata per far fronte a situazioni critiche come il consumo di suolo, la distruzione della fertilità data da pratiche agricole sbagliate, la diminuzione delle risorse energetiche; quindi è un metodo di progettazione che ci insegna a progettare bene per sprecare il meno possibile, utilizzare il meno possibile energia esterna”.  

D’altronde l’agricoltura industriale ha bisogno di essere messa in discussione e rivista alla luce dei danni ambientali e dell’inquinamento che genera, e questo è dovuto, secondo i permaculturi del Bosco di Ogigia, alle conseguenze della Rivoluzione verde, quando sono stati introdotti fertilizzanti e pesticidi chimici che, sul momento, hanno aumentato la resa delle culture, ma nel tempo l’hanno impoverita e hanno “rafforzato” le aggressioni degli insetti predatori. “Il fatto è che queste aggressioni saranno sempre più forti e anche più difficili da contrastare mano a mano che andiamo a distruggere l’ambiente naturale. Quindi più noi riusciremo a far lavorare i cicli naturali, e meno avremo bisogno di queste sostanze”.

Inoltre, aggiunge Filippo: “Un cibo nato da un suolo sano, ricco, rigenerato, che non è dopato da fertilizzanti o sostanze chimiche, sicuramente è un cibo che nutre molto più del cibo industriale. Noi compriamo al mercato il cibo in base al chilo, invece forse si dovrebbe quantificare il valore del cibo in base alla qualità nutrizionale”.

La rivoluzione verde vide la luce negli anni Settanta grazie a scoperte scientifiche e chimiche, ma soprattutto in relazione ad un forte e repentino aumento della popolazione mondiale, motivazione che oggi è stata scolorita dalle evidenze, per Francesca non c’è dubbio:” Credere che l’agricoltura industriale, così come la vediamo funzionare oggi, porti alla produzione di più cibo e quindi procuri più risorse a disposizione di una popolazione sempre maggiore, è un falso; non è così, anche se un certo tipo di approccio fa fatica a diffondersi e a passare per i mezzi di comunicazione”.  

Il “certo tipo di approccio” cui fa riferimento la giornalista-permacultrice è un approccio anche etico al suolo coltivato, che al contrario delle monoculture tradizionali, non impoverisce il suolo e la diversità del terreno. Vi sono vari modi di attuare questo approccio virtuoso, e di notevole interesse è la Food Forest: “La Food Forest mette tante piante diverse nello stesso spazio, in modo da avere una enorme quantità di cibo in più per unità di territorio”, in questo modo è realmente possibile annullare contemporaneamente gli sprechi e la fame. Infatti, dice Filippo:” Uno studio dell’ISPRA di Giulio Vulcano, fa un riassunto di alcuni studi legati all’alimentazione, e ci dice proprio che sono i piccoli agricoltori, le piccole realtà agricole, a sfamare il mondo, a produrre di più in base al terreno utilizzato”.

Quello sulla Food Forest è uno dei videocorsi organizzati dal Bosco di Ogigia, che mette a disposizione, nei propri canali social e sul sito web una galassia di podcast e video informativi per addetti ai lavori, ma anche per semplici curiosi che vogliono approcciarsi al mondo dell’agricoltura in modo moderno, etico e sostenibile.

L’intervista a Francesca e Filippo.

Eleonora Rosi
Sono una giovane studentessa della facoltà magistrale di Lettere, maremmana di nascita, ho lasciato l'Argentario da quattro anni per vivere e studiare a Siena. Mi interesso di politica, ambiente e attualità, con il proposito di capire e raccontare la cronaca di un territorio tanto antico e ricco di storia quanto vivo e vitale come quello senese.

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