Esce il 9 luglio il nuovo libro di Raffaele Ascheri: è sul caso David Rossi

Cronaca di un suicidio (annunciato)”, in uscita a partire dal 9 luglio: è il nuovo libro di Raffaele Ascheri, noto blogger e attualmente presidente della Biblioteca degli Intronati di Siena, scrittore di numerosi libri su Siena e non solo.

Ascheri ricostruisce la vicenda della morte del manager di Mps avvalorando la tesi, certificata dalle inchieste, del suicidio.

Secondo Ascheri Rossi si tolse la vita nel momento in cui l’autorità giudiziaria accese un faro su chi gestì Mps e, in particolare, l’operazione Antonveneta, ‘in primis’ l’ex presidente Giuseppe Mussari. E Rossi, che fino a quel momento aveva lavorato sotto l’ombrello protettivo del vecchio management, cominciò a perdere ogni certezza quando il 19 febbraio del 2013 subì (non in veste di indagato) una serie di perquisizioni, in ufficio, in casa e nella macchina. Pochi mesi prima (novembre 2012) aveva perso il padre e la crisi del Monte, per la quale lui temeva un arresto di lì a poco, si era andata ad aggiungere alle preoccupazioni per lo stato di salute della moglie.

Poche ore prima del suicidio, Rossi, come riporta Ascheri, ebbe un colloquio con una “consulente aziendale-soggetto formatore”, la dottoressa Carla Lucia Ciani, cooptata dalla nuova dirigenza Mps per agevolare l’integrazione tra vecchi manager e quelli appena arrivati. E la testimonianza della ‘coach’ è illuminante perché evidenzia, in modo neutro e senza pregiudizi, un contesto “presuicidario”.

“Si sentiva quasi il senso di disgrazia imminente – è il ricordo dell’esperta a proposito di David Rossi – questo era fortissimo, usava espressioni quali: ‘ho paura che mi possano arrestare’; ‘ho paura di perdere il lavoro’ come se fosse accusato di qualcosa… lui mi ha detto che addirittura pensava che io fossi li’ per aiutarlo a comunicare le sue dimissioni”.

E ancora, dalle parole della dottoressa Ciani: “L’impressione che ho tratto dall’incontro è che lui avesse vissuto l’esperienza lavorativa in un contesto protetto: ad un certo punto invece si è sentito solo e questa condizione gli ha creato una sorta di apnea da panico che non sapeva gestire… lui disse che non riusciva a trovare un appoggio e ciò gli dava una continua frustrazione. A me ha dato l’impressione che, perso il lavoro (come lui pensava di perdere, ndr), avrebbe perso tutto, avrebbe perso se stesso, proprio perché non c’era distacco in lui fra vita privata e lavorativa, quasi che il suo ruolo professionale fosse tutta la sua vita”.

Nel finale del verbale reso ai tre pm di Siena, viene sintetizzata dalla teste la pluralità di cause che avrebbero portato poi Rossi a uccidersi: “Mi parlò della paura di essere arrestato, del fatto che sua moglie non fosse in condizione di sostenersi, che avrebbe perso il lavoro se fosse successo qualcosa di grave“.

La conclusione dell’autore, sul punto, è tranchant: “Il caso Rossi è stato gonfiato, per motivi che i lettori attenti avranno ben compreso, talmente a dismisura, che libri se ne potrebbero – forse, dovrebbero – scrivere altri tre o quattro, per andare a scandagliare anche ulteriori, pietosi, anfratti. Magari tutti i suicidi fossero analizzati con siffatta acribia, magari. Dal punto di vista giudiziario, dopo 8 anni il fronte omicidiario ha in mano il niente, ammantato dal nulla”. 

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