“Ho pensato a lungo se pubblicare o meno questo, ma ho deciso di farlo perché troppa gente non ha ancora compreso il problema”. Comincia così la testimonianza di Giada, una delle colligiane risultate positive al Covid nelle scorse settimane, che sul suo profilo Facebook scrive “Sono passata da ‘donna di 33 anni positiva’ a far parte di quel bel numero verde dei guariti. Ecco com’è andata”.

Il suo è un racconto che avviene per tappe, che comincia quando ha ricevuto la notizia di essere il contatto stretto di un positivo e che prosegue fino a quando, 17 giorni dopo, è tornata finalmente negativa al coronavirus.

La notizia: crisi di pianto e paura

Ma partiamo dall’inizio. Giada viene avvisata della possibilità di essere stata contagiata. “Non mi vergogno a dire che ho passato la giornata ad alternare crisi di pianto e mezze crisi di panico a momenti in cui ho cercato di farmi forza per tranquillizzare familiari e amici”, scrive. In quanto “contatto di caso”, si mette subito in isolamento domiciliare. In quei giorni le persone più vicine le pongono insistentemente le solite domande: ”quando ci siamo visti stavi bene?’, “adesso cosa hai?”, “il risultato?”, “dove l’hai preso?”. “Come se la mia ansia non fosse già sufficiente”, commenta lei.

“Al quinto giorno vengo contattata dall’Ufficio d’Igiene, che mi comunica che il mio tampone è risultato positivo – aggiunge -. Sfido chiunque a mantenere la calma e a non sentirsi in colpa mentre devi fare l’elenco dei contatti stretti, mentre ti senti sotto inquisizione (e per fortuna i miei contatti stretti erano amici che hanno saputo farmi sorridere tra le lacrime e smettere di autoflagellarmi e colpevolizzarmi)”.

Dal sesto giorno al sedicesimo, Giada racconta di aver ricevuto continue telefonate da parte di vari enti per la fornitura di aiuto o servizi, come la spazzatura. Infatti tutte le persone positive al Covid-19, o in isolamento o in quarantena obbligatoria, devono interrompere la raccolta differenziata e gettare tutti i rifiuti domestici, inclusi i fazzoletti di carta, carta in rotoli, teli monouso, mascherine e guanti, nell’indifferenziato e ritirata a domicilio: il tutto “con la cerimonia della disinfestazione da personale… Vi lascio immaginare i commenti dei vicini”.

Le malelingue e la sensazione di vergogna

“Nel frattempo – continua – il nuovo passatempo è diffondere notizie non vere sui miei familiari. Secondo alcuni, sarebbero stati ricoverati in ospedale perché gravi. Mio nonno, in particolare, secondo le voci sarebbe stato addirittura in fin di vita, intubato e in rianimazione. Tutto fortunatamente falso!”.

Questo aspetto è purtroppo comune a molti altri racconti di persone risultate positive al Covid. Spesso chi vive in prima persona il contagio, deve vivere anche la paura delle malelingue e del dolore che provocano, la paura della diffidenza e del pregiudizio. Al 17° giorno, infatti, quando Giada risulta finalmente negativa al tampone, l’ansia e le preoccupazioni non finiscono. “Iniziano le crisi d’ansia all’idea di uscire di casa – spiega – Avevo la sensazione di essere ancora ‘sporca’ e temevo di non essere sicura di essere veramente negativa. Mi sono dovuta sforzare per lasciare il rifugio sicuro di casa mia, anche solo per qualche ora. Due giorni dopo però mi sveglio con mal di gola e raffreddore e ricado nuovamente nell’incubo. Mi sottopongo a un nuovo tampone richiesto per sintomatologia e risulto ancora una volta negativa”.

“Ci terrei a far capire che, nonostante io sia stata fortunata perché ho avuto sintomi tutto sommato lievi, essere stata positiva al coronavirus è stata un’esperienza che mi ha provato dal punto di vista psicologico. Mi sono sentita sola e abbandonata – conclude -, alla deriva da “amici” che spariscono o ti cercano solo per paura che tu possa in qualche modo averli contagiati, sopraffatta dal senso di colpa e dalla vergogna. È solo grazie a quelle poche meravigliose persone che mi sono state accanto ogni giorno che non sono impazzita del tutto”.

Nelle parole di Giada si possono ritrovare quelle di molte altre persone che, purtroppo, stanno vivendo la stessa situazione. In questi casi, anziché seminare il panico e far crescere un clima di angoscia e terrore, sarebbe di certo più utile offrirsi di dare una mano. Mostrare un po’ di comprensione o, più semplicemente, di umanità. Senza giudizi.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui