Sessantuno pagine dell’ordinanza: la ricostruzione del gip che ha portato alle misure cautelari

Sono tanti i particolari della vicenda che emergono dalle sessantuno pagine dell’ordinanza del tribunale di Siena, firmata dal giudice Roberta Malavasi su richiesta del pm Valentina Magnini. Pagine fitte di dati che si concludono con le motivazioni attraverso cui Cesare Rinaldi e la moglie vengono sospesi dall’esercizio delle proprie funzioni all’interno della Polizia Municipale e viene comminato loro il divieto di avvicinamento alle persone offese. Martedì mattina di fronte al gip Roberta Malavasi è in programma l’interrogatorio di garanzia del comandante. Nel frattempo il sindaco di Siena Luigi De Mossi ha disposto l’avvicendamento di Rinaldi con il segretario comunale Michele Pinzuti, almeno per gestire questa fase temporanea: poi l’incarico potrebbe passare a Marco Manganelli, attualmente vice comandante, oppure il Comune potrebbe effettuare un bando. L’indagine vedrebbe al momento cinque indagati, ma si potrebbe allargare, soprattutto per quanto riguarda i mezzi che i due indagati principali avrebbero utilizzato per avvicinare le vittime.

Negli atti che hanno portato alle misure cautelari (in realtà il pm aveva addirittura chiesto gli arresti domiciliari) il gip sottolinea come Rinaldi “non si è fatto scrupolo di utilizzare la credibilità ed i contatti personali acquisiti grazie al prestigioso ruolo di Comandante per indurre rappresentanti delle forze dell’ordine e addirittura un membro dei servizi segreti a frugare nella vita privata delle sue vittime alla ricerca di notizie scabrose e comunque utili”. Si parla di “infedeltà gravi e reiterate”, di “scaltrezza” con la quale l’indagato si è procurato “l’utenza anonima e le schede telefoniche utilizzate”. Rinaldi avrebbe messo in atto “un intento manipolatorio e inquinatorio” delle indagini.

Si tratta, secondo il gip “di un gravissimo tentativo di minare la serenità e condizionare il comportamento di coloro che stanno svolgendo le indagini”. Al pericolo di reiterazione del reato, dunque secondo il gip, si somma il pericolo di inquinamento probatorio. Il giudice ha deciso però di non procedere con la misura degli arresti domiciliari, ma di intervenire “sulla possibilità degli indagati di avvicinarsi e comunicare con le vittime delle condotte persecutorie e interdire loro l’esercizio dei poteri di ui sono titolari”. Appare “improbabile”, sempre secondo quanto si legge nelle carte, che gli indagati spogliati della loro autorità possano “indurre al silenzio e alla ritrattazione”.

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