Lo studio realizzato insieme dell’Università di Siena e Pavia è stato condotto nell’habitat storico del camoscio appenninico nel Parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise. La causa dell’estinzione? il cambiamento climatico.

2070: questo l’anno in cui, secondo uno studio condotto dall’Università di Siena e Pavia, sarà possibile non veder più circolare nei nostri boschi il camoscio appenninico. La causa? Il cambiamento climatico.

«Le montagne sono habitat fortemente stagionali, che richiedono adattamenti speciali per gli animali selvatici che vi abitano – spiegano i ricercatori dell’Università di Siena – La dinamica della popolazione degli erbivori di montagna è in gran parte determinata dalla disponibilità di ricche risorse alimentari per sostenere l’allattamento e lo svezzamento durante l’estate. L’aumento della temperatura influisce sulla stagionalità e sulla locale qualità nutrizionale delle piante: le specie vegetali adattate a un persistente manto nevoso e che attualmente vivono a quote inferiori sono destinate a spostarsi verso quote più alte, ove queste siano disponibili»

Il lavoro, dal titolo “Climatic changes and the fate of mountain herbivores”, è stato pubblicato su “Climatic Change” da Sandro Lovari, Sara Franceschi, Lorenzo Fattorini, Niccolò Fattorini e Francesco Ferretti dell’Università di Siena e da Gianpasquale Chiatante dell’Università di Pavia.

Sulla base di quanto avvenuto nel corso degli ultimi decenni, dall’inizio del cambio climatico a oggi il team di ricercatori suggerisce cosa potrà avvenire alle popolazioni di ungulati di montagna sulla base di quanto i cambiamenti climatici avranno alterato la distribuzione e la qualità della vegetazione di alta quota.  Dagli anni Settanta l’aumento delle temperature primaverili (ben 2°C) nell’area di studio, nel cuore dell’areale storico del camoscio nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ha anticipato di quasi un mese l’inizio della stagione vegetativa nelle praterie d’altitudine più basse, comprese tra 1700 e 2000 metri, e fortemente ridotto la vegetazione pascolabile dal camoscio, influenzando negativamente la sopravvivenza invernale dei piccoli.

“La compresenza del cervo – spiegano i ricercatori – ecologicamente competitivo nei confronti del camoscio, e la ricolonizzazione boschiva delle praterie contribuiscono a impoverire ulteriormente le risorse già messe a rischio dal cambio climatico”.

“Sulla base delle nostre simulazioni sulle temperature primaverili future e sulla presenza di adeguate risorse alimentari – continuano i ricercatori – si può prevedere una mortalità invernale dei piccoli di camoscio dal 28 al 95 per cento fino, quindi, alla quasi estinzione entro il 2070 nel nucleo del suo areale storico nel Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise. Appare molto probabile che, se il cambio climatico continuerà, lo stesso fenomeno potrà colpire anche altre aree appenniniche dove questi erbivori sono oggi presenti, mettendo nuovamente a serio rischio la sopravvivenza globale di questi camosci, che l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura considera già come a rischio di potenziale estinzione”.

“Fra l’altro – concludono i ricercatori – , il camoscio appenninico è affetto da una variabilità genetica molto ridotta, forse determinata in passato da lunghi periodi vissuti a basso numero, che può renderlo ancor meno capace di reagire a rapidi cambiamenti ambientali rispetto ad altre specie di erbivori di montagna”.

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