Storie di un calcio piccolo: la rubrica settimanale di Riccardo Lorenzetti

Il primo problema fu trovargli il nome.
E, subito dopo, l’articolo determinativo che l’accompagnasse nel suo cammino.

“Il Bot”, secondo quelli che ne parlavano da fuori.
“La Bot” se invece venivi da Torrita, e la coniugavi al femminile, che risultava un po’ più affettuoso.
“La Bot”: come fosse la signora che abita nella casa accanto, e ti presta il sale quando ne hai bisogno. E finisci per sviluppare quel tipo di affiatamento tutto chianino, dove (unico luogo in tutta la provincia) si usa ancora l’articolo determinativo davanti al nome proprio femminile.
“La” Maria, “La” Luisa, “La” Sonia.
A differenza della Valdorcia, per esempio, dove l’articolo non è contemplato, e si dice: “Ero insieme a Maria”. Non “alla Maria”.

“La Bot”, quindi.
Non vi dispiacerà se la chiameremo così, da ora in poi. Come se anche noi fossimo nati a Torrita, e ci trovassimo a ricordare vent’anni di calcio dilettanti. E l’esperimento più longevo in assoluto tra tutte le cosiddette “seconde squadre” che hanno caratterizzato il panorama del football locale.
E che fissano in dieci anni, più o meno, il tempo che passa dalla loro nascita alla loro estinzione: perché dieci anni sono durati, più o meno, AC Chiusi e Asinalonga. Un po’ di più la Vigor Chianciano, molto
meno la Frontiera di Bettolle e quasi niente altri tentativi come l’US Taverne o lo Sporting Poggibonsi.
E il Città di Chiusi, che è l’unica superstite, ed è in piedi dal 2013.

Ma il cammino delle seconde squadre è sempre scivoloso. Perché, per loro natura, nascono grazie ad uno schiribizzo, ad una scommessa estiva e talvolta anche per amor di polemica; e non avendo tradizione (e spesso neanche molto pubblico al seguito) devono affidarsi alla sola, esclusiva buona volontà del dirigente. Che però è un uomo, e fatalmente è destinato a stufarsi.

Ecco.
Il segreto della Bot fu proprio quello: non stufarsi mai, nonostante i risultati fossero tutto tranne che entusiasmanti. E di aver assemblato un piccolo miracolo sportivo che, come tutti i miracoli, di “miracoloso” non aveva niente. Tranne i nomi e i cognomi di quelli che lo avevano reso possibile.

Claudio Dringoli, tanto per cominciare. Il celeberrimo “Papino” (perchè Torrita è una specie di festival del soprannome), che per la Bot fu allo stesso tempo ostetrica e prete con l’estrema unzione: nel senso che fu lui a farla nascere, e fu lui a vederla morire. E poi, Enzino Monami, Adriano Cherubini, il Felici, il Saletti, Nico Tinghi.
Gente in gamba; uomini notevoli, abituati fin da subito al cosiddetto “problem solving”. Come quando, all’atto di iscrizione, la Federazione trova subito da ridire su quell’AC Torrita che dovrebbe essere il nome ufficiale del neonato Club.
“Bisogna aggiungere qualcosa… Così non lo fanno passare”, telefonano da Firenze.
“Bot. Fu la prima parola che mi venne in mente” racconta il Papino. “Bot, senza nessun significato oscuro. Bot proprio come buoni ordinari del tesoro. ”
E nasce così, ufficialmente, l’AC BOT Torrita. In un centesimo di secondo.
Ma il paese è piccolo, e la gente mormora. E questo stranissimo “Bot” (si dice) potrebbe benissimo essere l’ abbreviazione di “Botarelli”: la nota famiglia di mobilieri che ha la sua attività proprio a Torrita.

Il Papino scuote la testa: “Magari fosse stato così… Avremmo avuto un bel po’ di spalle coperte. Invece eravamo poveri; figli di un calcio che non aveva ancora conosciuto il boom, e le esagerazioni, degli anni ottanta e novanta.”

Nessuno, in casa Bot, prende una lira. Mentre le maglie da gioco sono un gentile omaggio del maglificio Primetto Bastreghi, dove l’unico filato disponibile al momento è uno scampolo color vinaccia.
Nasce così, abbastanza casualmente, il bellissimo amaranto che accompagnerà per sempre la Bot.
Che si iscrive alla terza categoria 1979/80, facendo la conta degli abili e arruolati. E’ la classica squadra di amici, come si evince dagli immancabili soprannomi: Clode e il Vannuzzi, Giulianino e Puccio, Scalabrino e Sciamega. Gente di sciabola, più che di fioretto… Gli unici “lussi” che si concede sono Bianchini, l’allenatore bambino, e Paolino Cassioli, che gioca in punta di piedi.
Intanto, l’esordio è una batosta; 5-2 con il Super Pienza di Lodovichi e Dario Mazzetti, mitigato sette giorni dopo dalla vittoria con l’Abbadia di Montepulciano di Sergio Fedi. Gol di Roberto Roghi e Cassioli, che segna da centrocampo.
Sarà un campionato drammatico, quello: che si decide all’ultima giornata nel fango dell’Armando Picchi di Petroio: Pienza promosso, poi l’Acquaviva dei fratelli Mariani e terzo il GS del grande Fulvio Benvenuti. La Bot è ufficialmente entrata nella geografia del nostro calcio: non è stata la protagonista assoluta (e non lo sarà per altri sedici, lunghissimi anni) ma è lì, e bisogna comunque farci i conti.

Due anni dopo, arriva anche il derby: il Comunale di Torrita è stracolmo di curiosità per la prima stracittadina della storia che mette di fronte l’US del Professor Mencarelli contro i fratellini piccoli in maglia amaranto. La gente si aspetta un massacro calcistico, e invece viene fuori l’impresa da leggenda: gli azzurri assaltano il fortino e vanno in vantaggio con Marco Capecchi, la Bot pareggia con Roghi e poi si mette in difesa, trascinata da Giulianino Bracciali che gioca, da libero, la partita della vita. Finirà con un 1-1 che profuma quasi di vittoria.
Al ritorno ancora 1-1, con l’US salvata in extremis dal rigore di Primo Salvietti, il “marine” con la faccia da Indio: la Bot ha tenuto, e adesso può alzare lo sguardo, come Jack La Motta davanti al divino Ray Sugar Robinson… “Ehi. Non sei riuscito a buttarmi giu.”
Rimarranno, quelle, le uniche imprese nei derby. Da lì in poi, se ne giocheranno altri quattro: ma vincerà sempre l’US.

Nel frattempo, la Bot ha voglia di costruire.
Non si accontenta dell’attività in terza categoria, e si avventura là dove le cosiddette “seconde squadre” non hanno mai osato spingersi: il settore giovanile.
E’ la famosa nidiata del ’70, ancora troppo piccola per essere accolta nelle capienti braccia dell’US, e che conoscerà il proprio battesimo del fuoco proprio con la maglia amaranto, alla celebre Coppa Cresti del 1981, nella parrocchia dell’Alberino.
Alcuni di quei ragazzi prenderanno presto il volo per la Tuscar Canaglia, che all’epoca ha un vivaio floridissimo, e il più promettente di tutti (il portiere Luca Rosignoli) finirà addirittura alla Fiorentina.
Nel 1983 la Bot, categoria Allievi, farà seconda assoluta nel Campionato Provinciale dopo una bella lotta con la fortissima Sinalunghese.

Sono gli anni della partecipazione al torneo di Bettolle, dove gli amaranto si presentano come squadra da battere per almeno un paio di edizioni.
La Coppa Tempora non avrà più l’appeal degli anni settanta, ma rimane il trofeo di più assoluto prestigio della zona. Nel 1984 la Bot assolda Massimo Bianchini e Fabrizio Bennati, che sono due Torritesi doc, e si svena letteralmente per il bomber Antolovic e soprattutto per Franco Nanni, Campione d’Italia dieci anni prima con la Lazio di Maestrelli.
La Bot è un rullo compressore, e finisce per vincerle tutte: fino a quando non si mettono in mezzo i soliti, dispettosi Bettollini, che si sono trasferiti in massa nel Pozzuolo Umbro di Lamberto Magrini. La semifinale è addirittura drammatica, e la risolve una legnata di Roberto Capitani, che risulterà decisiva per spedire a casa i favoritissimi amaranto.
Che fanno fagotto, ma si consolano con la percentuale d’incasso: novecentomila lire, perché quando gioca la Bot lo spettacolo è garantito. E c’è sempre il pienone.
Nel frattempo, in campionato, è andata malissimo. Con la miseria di sei punti in trenta partite, gli amaranto finiscono per la prima volta ultimi in classifica.

Ma il calcio sta cambiando. I soldi hanno preso a girare vorticosamente, ed ogni anno, in terza categoria, c’è il magnate di turno che costruisce lo squadrone da battere.
La Bot non va mai oltre i propri limiti, e si trova costantemente nella zona meno nobile della classifica: “Qualcuno ci prende con sufficienza… –osserva il Papino- … però, siamo l’unico Club della provincia che non ha una lira di debito. Ed i primi a versare la tassa di iscrizione per la nuova stagione.”

Fino a quando, nel ’97, il vento cambia: e su quel piccolo, romantico Club si posano finalmente gli occhi dei Botarelli… Proprio quella famiglia che (ricordate?) era stata erroneamente accostata alla Bot, al momento della nascita.
Ci sono voluti diciassette anni, ma il cambio di passo che viene impresso è evidente: e basta vedere l’interesse che suscita quella maglia amaranto anche in chi, fino al giorno prima, mostrava bellamente di snobbarla.
Si apre una specie di “New Deal”; e sarà quella l’eredità del povero Paolo Giustarini, che viene scelto come allenatore.
Paolo (che morirà giovane, nel 2010) è un tipo sanguigno ma dal cuore d’oro, come tutti gli Ascianesi. Ha un’aria da guascone che non sfigurerebbe in un film di cappa e spada, però conosce il calcio: e ha voglia di prendersi quelle soddisfazioni che l’ambiente gli ha spesso negato.
Il progetto Bot gli capita nel momento giusto, e lui si getta anima e corpo nella sua costruzione: non sarà un drago nel gestire lo spogliatoio, ma gli uomini sa sceglierli eccome. E infatti si porta dietro Daidone, Maccari e Diego Guerrini, che saranno decisivi nelle fortune della squadra.
Il primo anno è un mezzo flop, ma la stagione successiva comincia il raccolto; ed arrivano (prima volta nella storia della Bot) la partecipazione ai playoff.
Persi nel doppio confronto con il Pinte d’Arbia, nonostante la costosa smargiassata di tesserare a gettone Maurizio Restelli, che ha giocato nella Fiorentina. Ma che ha anche 37 anni, ed è praticamente inservibile.

Si arriva quindi al 99/2000, e preparatevi ad una vera e propria stagione teatrale.
Che contemplerà Eros e Thanatos, come nel “topos” più classico… E vedrà, contemporaneamente, la gloria e la morte; l’urlo della vittoria e il canto del cigno.
Il campionato parte una favorita d’obbligo: il Roma Club di patron Dino Buzzegoli, che ha la testa di Claudio Casini in panchina e le magiche mani del leggendario Duilio Francioni, nel lettino scaldamuscoli.
La Bot ha cambiato manico: via Giustarini, è arrivato Fabrizio Bennati che imposta subito la squadra su criteri pratici ed efficaci. Luca Nardi in porta e difesa a tre con Paradossi, Daidone e… Giacomo Grazi. Proprio lui, l’attuale Sindaco di Torrita: che in virtù di quella performance entrerà a far parte dell’esclusiva “Banda dei Quattro”, ovvero i quattro sindaci che in vita loro hanno vinto almeno un campionato (gli altri sono Fabrizio Fè con il Pienza 79, Marchetti con il Cetona ’91 e Machetti con la Voluntas ’94).
Guerrini è un’autentica iradiddio nella fascia destra mentre dall’altra parte viene reinventato quel cavallone di Mirko Pasquini. Centrocampo di lotta, più che di governo, con il magistero del vecchio Maccari, la corsa di Mirko Fè e la misura di Pino Cicerone (o di Biagi).
In attacco, Bennati si inventa una coppia tascabile, tutta tecnica e inventiva: Luchino De Nisco, capocannoniere con 19 gol, e Picio Machetti, il biondo che gioca come il Chino Recoba (12 centri per lui).

La svolta arriverà a dicembre, con due episodi che risulteranno emotivamente determinanti.
Il primo, è l’imminente cessione di Grazi, che ha ricevuto offerte irrinunciabili: il secondo, è il serio infortunio a Luca Nardi, che di fatto chiuderà lì la sua carriera.
Ma la vecchia Bot non è più il Club un po’ naif al quale eravamo abituati: stavolta la dirigenza fa quadrato e dà un segnale forte. Tanto per cominciare Grazi non si muove, mentre da Sant’Albino arriva il portierino Neri che risulterà decisivo in più di un’occasione.
Da lì in poi, la squadra sbaglierà poco o niente. Perderà male a Vivo d’Orcia (4-5), ma batterà il Roma Club (3-1) e compirà una vera impresa a Vescovado, con la punizione di Machetti al 90’ che varrà il prezioso 2-1.

Alla fine la spunterà il Roma Club: nell’ultima, drammatica giornata dentro il catino ribollente di Piazze, dove sarà decisiva la doppietta di Massimo Pascuzzo.
I playoff, invece, saranno la solita lotteria: alla Bot tocca il Sant’Albino, comodamente impallinato con un complessivo 6-2, mentre dall’altra parte ci mettono lo zampino le streghe, e finisce con il favoritissimo Cetona che viene clamorosamente messo alla porta dal Vescovado.
L’epilogo è cosa nota.
16 Aprile 200: si gioca al Sonnimini di Serre, davanti al pubblico delle grandi occasioni che si è dato appuntamento per vedere il ventennale sogno della Bot che stavolta si farà immancabilmente carne.
E, in effetti, il verdetto è già scritto nelle stelle,
La partita è bruttina e tirata, e si chiude sullo 0-0, ma c’è il vento della storia, che soffia nella direzione di Bennati e dei suoi ragazzi. Che ai rigori sono dei cecchini infallibili, e portano infine la Torrita amaranto in seconda categoria.
Là, dove nella sua ventennale storia non aveva ancora messo piede.

Ma è proprio qui che arriva, paradossalmente, anche la fine di questa strana, romantica storia sportiva. Dolce e amara: perché la Bot ha sì raggiunto la terra promessa, ma il piede non ce lo poggerà mai.
E la sua storia finisce proprio lì: nell’estate del 2000. Senza l’agognata iscrizione alla seconda categoria: come se il traguardo raggiunto dopo tanti anni, avesse improvvisamente svuotato l’ambiente di ogni interesse.
L’AC BOT Torrita si scioglie.

Vincere, e poi morire.

O meglio, come dicevano i saggi cinesi, “Possa il viaggio essere la tua ricompensa”: perchè le emozioni delle quali bisogna far tesoro sono proprio quelle che abbiamo vissuto durante quell’itinerario. Lungo o corto che sia.
E la parabola di quella squadrina color amaranto, che dura vent’anni esatti, ci insegna che il risultato non è tutto.
A volte, anzi, è la parte più trascurabile.

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