Storie di un calcio piccolo: la rubrica settimanale di Riccardo Lorenzetti

Sorride, Loris Beoni.
Sorride, quando ripensa a quel campionato “maledetto” perso con il Torrita, quaranta e passa anni fa.
Sorride perché nonostante il suo approdo alla Juventus, ed averci vinto lo scudetto, non ne ha cambiato i punti di riferimento, né tantomeno il carattere.
A sessantadue anni, Loris rimane un innamorato perso del “gioco”, nella stessa, identica accezione che il Maestro Federico Buffa trasferisce al basket: perché lo sport è una cosa, e il “gioco” è un’altra… Lo sport è il vincere o il perdere, il “gioco” è tutto il resto. E spesso è più importante del vincere e del perdere.

“La rissa tra Sorano e Torrita fu paurosa. Ero un ragazzino, e quando circondarono Mister Tiezzi, fui il primo a correre in suo aiuto. Il secondo fu Leo Roghi, e poi si scatenò il finimondo… L’unico a mantenere la calma fu Franco Vannuccini, che in campo era una specie di lord inglese.”
Fu laggiù, in quella memorabile trasferta grossetana, che si rinsaldò la leggenda nera del Torrita, che perde gli spareggi con il Bettolle.
“Quando ritornò la calma ricordo la processione dall’arbitro ad implorarlo per riprendere la partita, ma lui si era barricato negli spogliatoi e non volle più saperne di uscire. Volarono squalifiche pesantissime.”.
Ricorda benissimo, Loris Beoni. Tanto da correggere l’ errore storico del cronista: “Sorano fu la penultima giornata di quel campionato. L’ultima si giocò a Chiusi, e il Torrita andò con i ragazzi dell’amatoriale Arci-Uisp tesserati in fretta e furia. E vinsero ugualmente… Poi, in piena estate, lo spareggio di Cortona.”

“Omnia munda mundis”, dicevano nell’antica Roma. “Tutto è puro, per i puri di cuore”, specialmente quando sei un ragazzo; “Eppure – racconta Loris- era un calcio terribile… Ad Abbadia San Salvatore, nel sottopassaggio, alcuni ceffi fecero scattare il coltello a serramanico mentre andavamo ad effettuare il riscaldamento. A Torrenieri entrò in campo la camionetta di carabinieri, al fischio finale, per portarci al sicuro.”
Storie di ordinaria amministrazione, in un calcio ancora naif: dove ogni trasferta era una battaglia, e non esistevano radio, tv o social network per lamentarsene, al lunedi: “Una volta faccio doppietta, a Bettolle, con indosso la maglia numero dieci. La domenica seguente andiamo a Pitigliano, dove si è sparsa la voce e sono il sorvegliato speciale. Ma Mister Tiezzi, che è un volpone, se ne accorge e mi consegna la numero nove, strizzandomi l’occhio; così, ci rimette Dragoni, che ne busca come un dannato al posto mio.”.
Il tutto, naturalmente, al netto della classe di molti interpreti, che era indubitabile: “C’era gente, in seconda categoria, che oggi farebbe la differenza in Promozione”.

“Omnia munda mundis”, dunque.
Come a quattordici anni, negli anni felici e spensierati dell’Etruria Gabos, dove ci scappa di giocare tre partite in ventiquattr’ore: gli Allievi al sabato, gli Juniores la domenica mattina e la prima squadra al pomeriggio: una terza categoria da niente, con squadroni come Subbiano e Pratovecchio.
“Ma non potevi giocare”, obietto.
Loris sospira, e sorride: “Infatti falsificavano regolarmente il cartellino. Per un’intera stagione mi sono chiamato Alessandro Balestrini: non avevo nemmeno quattordici anni… Oggi metterebbero tutti in prigione.”
Promette bene, il piccolo Beoni: così bene da incuriosire gli emissari del Torino, che in quegli anni ha lo squadrone e Sergio Vatta a capo del miglior vivaio nazionale.
Ma la famiglia lo vuole diplomato, e allora tocca rimanere ad Arezzo: che però non se la passa tanto bene, e con la retrocessione in serie C del 1975 arriva a smantellare tutto il settore giovanile.
Per un ragazzo così promettente, passare dal tutto al niente è un attimo: “Lì per lì la presi bene, e decisi di pensare solo al liceo. Poi arrivò settembre, e cominciai a non dormirci la notte… Un anno senza pallone mi sembrò improvvisamente una roba insopportabile”.
Torrita, dunque.
Con Carlo Chiezzi; che stravede per lui ed è il primo testimone di un escalation che si preannuncia irresistibile.
Loris è uno che, senza saperlo, è nato allenatore; nasce allenatore come, nella vita, si nasce santi, poeti, o sognatori; e a lui basta un niente per guadagnarsi la fiducia incondizionata di compagni, tifosi e dirigenti.
Succede, allora, che a Tegoleto la squadra non se la passi troppo bene, e bisogna decidere chi deve guidarla alla salvezza dopo l’esonero di Celestini.
E’ una specie di battesimo del fuoco: allenatore-giocatore in una piazza da sballo, che ha grandi tradizioni e qualche sbandata… esoterica: lo convocano in sede, e per prima cosa lo mettono davanti all’imponderabile: “Siamo stati dallo stregone, ehm ehm, e ci ha detto di bruciare la maglia numero tre. Pare che il malocchio venga da…”.
Loris sgrana gli occhi e gli domanda se, per caso, non siano diventati matti. Poi organizza la squadra, che con lui prende il volo e ne vince una dietra l’altra: lo scontro decisivo per salvarsi è a San Giovanni Valdarno, che non è propriamente l’ultimo degli stadi.
“Tranquillo, questa te la vinco io…” gli sussurra il grande Francesco Fabbro, prima di entrare in campo. Risultato: Sangiovannese-Tegoleto 0-2, doppietta di Fabbro.
“Un campione vero. Ma d’altronde, pochi posti hanno la cultura sportiva di Tegoleto. Che sarà piccolo, ma ha insegnato calcio per anni all’intera regione. “
Beoni, poi Forasassi, Menchetti e Arrigucci. Malentacchi, Dringoli, Magi, Lucioli. Il portiere Lulli e Massimo Spagna: raramente si è visto, in un solo Club, un concentrato di classe così elevato.
Loris, intanto, ha dato spettacolo anche con i suoi Juniores, che hanno fatto secondi assoluti nel campionato regionale di categoria. E la voce si sparge.

Ma la voglia di giocare è troppo forte, e per allenare c’è tempo; il verde del campo è una calamita irresistibile, e l’ambizioso Poggibonsi di Carlo Caroni è una sirena assai ammaliante
Loris saluta tutti per la cifra record di 40 milioni di lire, che negli anni ottanta scandalizzano l’uomo della strada. Ma sono anche gli anni degli yuppies, dell’edonismo reaganiano e delle vacche grasse: l’Italia si è scoperta l’eldorado del pallone, con Maradona e Platini, Zico e Socrates, Rummenigge e Leo Junior. “La Nazione” ne prende atto, ed esprime il suo sdegno nel titolo a nove colonne: “Beoni-40 milioni. E’ impazzito anche Il calcio dilettanti.”.
Il Poggibonsi del DS Gilardetti è una bomba: ha preso De Luca dalla Ternana, ha Capoduri, Renzoni e Fusci e lancia i giovanissimi Signorini e Pistella. Ma il destino è dietro l’angolo, e un incidente d’auto si porta via, in settembre, Paolo Niccolai e Moreno Pellegrini. Vettori e Giuntoli lottano per giorni tra la vita e la morte.… Lo choc è fortissimo, e la squadra si accartoccia e non si riprenderà più. Alla fine, caragrazia accontentarsi della salvezza.

Si riparte, quindi, da Pratovecchio. E poi da Levane, dove il copione si ripete puntuale: il Presidente Cuccoli è ambizioso, ma il grande Fausto Landini in panchina doveva essere un cannone, e si sta rivelando una pistola ad acqua. Dopo dieci giornate, i biancoverdi del Valdarno hanno quattro punti e sono ultimi e rassegnatissimi: Loris prende il timone all’undicesima, e ne infila diciannove senza perdere. Alla fine, il Levane è terzo.
Ma con questi risultati, non ci si può più nascondere: Beoni è ufficialmente diventato l’oggetto del desiderio dei Club più ambiziosi, e a Castelnuovo dei Sabbioni c’è un Presidente come Paolo Cortesi che con la sua Gummilabor ha costruito un colosso dell’industria, e ora ha voglia di vincere anche nel pallone.
Ma Loris non ne avrebbe granchè voglia… Ha già speso più di una mezza parola con il Cortona, e lì ha deciso di andare. Ma i “minatori” del Valdarno hanno argomenti più convincenti, e soprattutto un portafoglio praticamente illimitato… Stavolta è il Presidente Cortesi in persona, che si scomoda al telefono: “ Buongiorno, Mister Beoni… Se vuol venire in sede, abbiamo un regalino per lei.” .
Il regalino si chiama Renato Carsena, ed è probabilmente l’attaccante più forte del momento: lo Stia, che è proprietario del cartellino, ha sparato altissimo (35 milioni), ma Cortesi non è un tipo impressionabile, in quel senso. E in quattro e quattr’otto stacca l’assegno.
E’ una Castelnuovese che comincia il ritiro estivo con il morale a mille, tranne un tipo che se ne sta un po’ in disparte, con l’aria corrucciata… E’ il Capitano della squadra, si chiama Maurizio Sarri e gioca difensore centrale: ha trentun’anni, e l’arrivo di Scaramucci sembra precludergli la maglia da titolare.
Loris sorride, al ricordo: “Iniziammo così, con una litigata memorabile dentro gli spogliatoi, quasi da attaccarsi al muro. Con Maurizio che pensava volessi cacciarlo ed io a convincerlo del contrario”. Com’è andato a finire quel furibondo “vis-a-vis” della lontana estate 1989, beh… A questo punto, potete intuirlo da soli.
“E comunque, trattandosi di un eccellente calciatore, giocò tutto il campionato da titolare.”, chiosa Loris.
Che, con la sua super-Castelnuovese finisce secondo (a un solo punto dalla Castiglionese del Maestro Carlo Tiezzi): ma è un piazzamento che vale ugualmente il ripescaggio in Promozione.

Intanto, sta bussando alla porta la Sansovino, che per Loris Beoni diventerà presto una specie di luogo dell’anima.
Lo vuole con sé il grande Nario Cardini, che vi ha intravisto le caratteristiche per riportare in auge un Club che è stato importante e rispettato, e da tempo ha smesso di esserlo.
Saranno anni sportivamente favolosi, con il doppio salto carpiato che porterà gli arancioblè in Promozione-Eccellenza, e poi a sfiorare la serie D nello spareggio beffa con l’Aglianese di Gerry Cavallo, nel maggio ’96… Ma saranno anni, umanamente parlando, un po’ agrodolci; perché il Beoni calciatore sembra giunto al capolinea, e si sta avvicinando il momento di fare l’allenatore a tutti gli effetti… Una cosa che a Loris non va giù, e cerca di esorcizzare come si fa con i cattivi pensieri: “Mi ero sempre ritagliato almeno tre, quattro partite all’anno. Poi, un bel giorno, appena entrato in campo c’è un ragazzino che mi salta come un birillo, e io non trovo di meglio che spianarlo con un intervento durissimo… Mi becco un cartellino rosso, e la prima espulsione in carriera. Mi vergogno a pensare che la mia partita è durata, si e no, quindici secondi.”
Dalla tribuna si alza, impietoso, l’urlo isolato di uno spettatore, nella tipica cantilena della Valdichiana: “Mister-è-arivata-l’ora-de-smette”.
Poi la parentesi Figline e nuovamente al capezzale della Sansovino (99-2000), richiamato d’urgenza dopo il flop di Giambattista Gori che dopo dieci giornate ha messo insieme appena otto punti, ed è sprofondato all’ultimo posto con il derelitto Montale.
Loris riprende il timone, stampa diciotto risultati utili consecutivi e porta la squadra al quinto posto finale, non lontanissima dalla Fortis Juve che ha dominato il campionato.
Lascia da vincitore, e consegna il testimone a Maurizio Sarri… Già, proprio quel tipo dell’intemerata di dieci anni prima negli spogliatoi di Castelnuovo dei Sabbioni: e che proprio allo stadio “Le Fonti” inizierà la sua scalata irresistibile, approdando alla serie D, esattamente vent’anni dopo l’impresa firmata da Carlo Caroni.

Loris sorride, ripensando agli scherzi che combinano gli dei del calcio: “Il 2000, per me, doveva essere un anno sabbatico, e invece arriva la chiamata del Sinalunga. Dove prendo il posto proprio di Carlo, che mi ha sempre voluto un gran bene, e che venero come un Maestro. La prima partita in rossoblu la gioco proprio al Monte, contro lo squadrone di Maurizio che ci dà una stornellata niente male: 3-0, senza quasi farci passare metà campo.”
La Sinalunghese resta un po’ sulle ginocchia, perde altre tre-quattro partite e poi prende finalmente il volo, raggiungendo una cifra di gioco che arriva ad entusiasmare anche una tifoseria come quella, dal palato finissimo.
Una rincorsa a perdifiato che permetterà di evitare i playout (gol decisivo di Danielone Vilucchi, a Castiglion Fiorentino), con la perla di Giacomino Benocci che rimanda battuta la magna Sansovino nella gara di ritorno, al Carlo Angeletti.
Intanto, bussa alla porta l’ambiziosissima Sangiovannese: che è tornata in serie C dopo gli anni bui che l’hanno trascinata fino alle soglie del campionato di Promozione, e che vorrebbe affidargli l’organizzazione dell’intero settore giovanile. Marco Bignone è il Direttore Tecnico, ma soprattutto c’è il Presidente Arduino Casprini, e il suo grande gruppo industriale, a dare fiato e gambe ad un progetto da far brillare gli occhi: Loris si getta nella nuova avventura con un entusiasmo bambinesco, e vi coglie risultati addirittura impensati, come le affermazioni nel campionato Berretti e negli Allievi Nazionali.
Al Centro Sportivo azzurro si lavora in maniera febbrile, con riunioni tecniche che si protraggono fino a tarda notte.

La collaborazione con Sarri, che lo ha raggiunto prendendo il posto di Sannino, è totale e produttiva, ma Loris ha voglia di provare nuove strade; lo viene a sapere Casprini, che lo convoca nel suo ufficio: “Caro Beoni… Ho sentito dire che ci vuole lasciare…” Loris si morde il labbro superiore, imbarazzato, ed annuisce: ma Casprini è un tipo che conosce il mondo, e sa valorizzare chi se lo merita, Lo guarda dritto negli occhi, e getta le carte in tavola: “Sappiamo che Maurizio ci lascerà, a fine stagione. E per la panchina, ho pensato proprio a lei”.
E’ il più bel regalo di Natale che si possa immaginare.
La Sangio è una splendida realtà di C1, e le ambizioni del presidente schiudono obiettivi addirittura impensati.
Loris va in vacanza con il cuore a mille, poi il 26 dicembre arriva la notizia ferale: “Un incidente d’auto tra Cavriglia e San Giovanni ha coinvolto Arduino Casprini. Il Presidente della Sangiovannese è morto sul colpo.”
Sembra un film horror.
La scomparsa del Patron cambia tutte le carte in tavola: per la pietà umana, ovviamente, e per le “sliding doors” che si porta dietro una morte come quella.
Intanto, si iscrive al supercorso di Coverciano che per la prima volta apre le porte del suo inviolabile santuario agli allenatori che vengono dalle categorie dilettanti. Per uno come Loris Beoni, scritto e orale sono il pane quotidiano, ed entra in tromba tra i primi dieci assoluti. Intanto, la società è passata nelle mani di Casprini Junior, che non mantiene la promessa del padre. E affida la panchina della Sangio a Piero Braglia.

Omnia munda mundis. Loris rimane quello che è: un uomo di talento, supportato da una schiena perennemente diritta. Come il protagonista di “If” di Kipling, che tratta vittorie e sconfitte (“questi due impostori”) con il medesimo disincanto. E per mitigare la delusione, non c’è niente di meglio di una bella chiacchierata con un vecchio amico: è l’estate 2005, e il vecchio amico è Nario Cardini, che si è appena salvato con la Sansovino, cambiando quattro allenatori in cinque mesi.
“Verresti a darci una mano?” gli chiede a bruciapelo.
Loris è sorpreso: “Chi mi prendi?”.
Nario alza le spalle: “Nessuno. La squadra va bene così com’è… Ha solo bisogno di un bel manico”. Nasce così la Sansovino 2005-2006: la squadra più leggendaria di sempre del nostro calcio piccolo… Nemmeno più tanto piccolo, a pensarci bene, perché per la prima volta si arriva alle porte della C1. Benassi, Quandamatteo, Francini, Viviani e Sottili. A centrocampo, Simone Marmorini (da Lucignano) e il fenomenale Pippo Zacchei (che salta il fosso, da Foiano). Camillucci, Pacciardi, Nolè, Tarpani, Falomi, Proietti e Filippo Borgogni.
La squadra è buona, ma non fenomenale: lo diventerà domenica dopo domenica, contendendo punto a punto il primato alla super Cavese di Campilongo e poi sbarcando ai playoff, dove si consumano, nel giro di un mese, prima un’impresa fenomenale e poi una sporcaccionata. L’impresa è il 2-0 al Benevento, dopo essere passati indenni (0-0) davanti agli ottomila del Santa Colomba, che adesso si chiama Ciro Vigorito, e ospita la serie A. La finale con il Sassuolo, a distanza di anni, rimane una specie di “buco nero” nella memoria di tutti gli sportivi… 2-2 a Monte San Savino, e poi lo 0-1 in Emilia, con i malevoli che ancora rimuginano sull’influenza in diretta di Giorgio Squinzi, e della sua Mapei: che non è solo il proprietario del Sassuolo, ma anche lo sponsor più generoso della Nazionale che di lì a poco andrà a giocare (e vincere) i Mondiali in Germania.
“A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si prende…”, diceva Giulio Andreotti. Rimane l’impresa, che è la più scintillante di sempre del nostro calcio. E che fa gonfiare il petto di Loris, con un pizzico di rammarico: “Quella squadra compì un’impresa irripetibile, ma non del tutto compresa, né valorizzata nel giusto modo… Mi metto sugli attenti davanti alla grande Pianese, alla grande Virtus Chianciano o al grande Cortona, ma nessuno di loro ha mai raggiunto l’asticella della Sansovino 2005-2006.”.

Da lì, Loris decolla verso altre avventure che sono tutte da raccontare, popolate da personaggi da romanzo picaresco: come Franco Fedeli, ricchissimo proprietario dei Supermercati Elite. E tutta la storia che parte da Rieti (dove raggiunge un incredibile terzo posto, dietro Siena e Poggibonsi) e finisce alla Sambenedettese, con risvolti addirittura surreali.
Dove viene esonerato da primo in classifica, con una specie di congiura di palazzo. “Ma San Benedetto, e il Riviera delle Palme, mi sono rimasti dentro… Per storia e tradizione la Samb, da quelle pareti, è vissuta come una specie di religione, Alla prima trasferta, contro la Fermana, avevamo tremila tifosi al seguito.”. Passando per Messina, dove trova le macerie di un ambiente che, dopo gli anni della Serie A, ha subito una specie di devastazione. Una storia piena di umanità e di squallore, di avventure indimenticabili tra le mille traversie di una società che si squaglia dopo tre mesi, e lascia da pagare persino il conto dell’albergo. Loris si fa carico di una situazione che non gli spetterebbe, ma che sente sua: e si guadagna il rispetto della gente: “Il Professore (lo chiamano così) ha dimostrato di essere l’unico uomo, in mezzo a tanti pagliacci”, titola “Il Giornale di Sicilia”. Lui ne ricava un’esperienza preziosa, della quale far tesoro: “Chi era con me a Messina nel 2010 non ha più niente da imparare, in fatto di calciatori, di tifosi e di dirigenti”.

C’era Beppe Forasassi, che è quasi un fratello, a fargli da secondo, laggiù…
Va a sostenerlo quando allena il Sinalunga, e durante uno spareggio drammatico con il Serre, lo vede accasciarsi al suolo. Loris è in tribuna, e capisce subito la situazione: con un balzo entra in campo e gli presta il primo soccorso, che risulterà decisivo per salvargli la vita. Poi, sale con lui sull’ambulanza che lo porta a Nottola.
Loris si schernisce: “In cinquant’anni di calcio ho conosciuto migliaia di persone, e sono rimasto amico praticamente di tutti.”.
E poi il suo ruolo di “insegnante”, al quale tiene tantissimo: perché è grazie a quei concetti calcistici (e umani) che tanti ragazzi sono cresciuti, e migliorati. Come uomini e come sportivi.
Omnia munda mundis.
Compresi gli ultimi tre anni. Che sono, professionalmente parlando, quelli più ricchi e più “visibili”. Con il Napoli Primavera, e poi con la Juventus… E dove ci sarebbe ancora tanto da raccontare, se il tempo a nostra disposizione non fosse finito.
Ci basta guardare quella foto che fa il giro del web; dove CR7 festeggia con lui lo scudetto appena conquistato, versandogli lo champagne in testa.
Napoli e Torino: dove lo ha voluto con se quel tipo un po’ incazzoso, incontrato un pomeriggio a Castelnuovo dei Sabbioni. E con il quale condivide, fuori da ogni retorica, un concetto etico delle cose.
Che deve essere comune, evidentemente, a chi ha frequentato il nostro calcio piccolo.

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