Storie di un calcio piccolo: la rubrica settimanale di Riccardo Lorenzetti

Non si sapeva nulla, a quei tempi, di Highbury.
Però, a Torrenieri già lo stavano costruendo: con le proprie mani, appena fuori dal paese.
Erano fornaciai, contadini, ragazzi, gente di buona volontà… Chiunque, in paese, sapesse tenere in mano una pala, o un piccone, o avesse sufficiente forza per spingere una carriola, era abile e arruolato.
E trascorreva lì la domenica, tra la fatica e il sudore, come se il lavoro di tutti i giorni non fosse bastato.
Eppure, non mancava nessuno; tutti presenti, per dare finalmente una casa degna di tal nome al loro sogno, e al loro orgoglio sportivo.
Che un bel giorno passa di lì il Prefetto di Siena e ne rimane impressionato. E scrive immediatamente al Podestà: “Desidero sia compilato un elenco nominativo dei lavoratori, con l’indicazione per ciascuno delle ore di lavoro prestate. Ritengo giusto che i nomi dei volenterosi siano conosciuti da S.E. il Capo del Governo, al quale mi farò onore di comunicarli.”.
L’anno è il 1933, “Sua Eccellenza il Capo del Governo” è ovviamente il Duce Benito Mussolini, e l’originale della lettera è custodita gelosamente tra i cimeli dell’As Torrenieri.
E’ la testimonianza plastica che da quelle parti abita un sacco di gente in gamba ma soprattutto che lì, si gioca a pallone da sempre: da prima di tutti, forse.

Torrenieri è, nel 1933, uno dei posti più incredibilmente vivi e nevralgici dell’intera provincia, e deve il suo status a due felicissime combinazioni: le fornaci del cavalier Ulisse Crocchi, che l’hanno trasformata in una specie di polo industriale, e nella Via Cassia, che all’epoca è la principale, insostituibile arteria di collegamento dell’intera Italia centrale.
Torrenieri sarà New York fino agli anni sessanta, poi la costruzione dell’Autostrada del Sole sposterà progressivamente verso la Valdichiana il baricentro commerciale ed economico: e, infine, arriverà anche la deviazione della Via Cassia verso le zone aperte della campagna, per decongestionare i centri storici dal traffico ormai insostenibile, specie dei mezzi pesanti.
Così, con un semplice colpo di penna, Torrenieri (e Radicofani, e San Quirico, e Buonconvento) cambiano improvvisamente volto. E su queste piccole New York piomba l’incubo di un declino irreversibile; alla Radiator Springs, per intendersi.

Ma rimaniamo al 1933, al Prefetto, al Podestà e a quella brava gente che sta costruendo il suo “Highbury”, nella zona che adesso è pieno centro cittadino e all’epoca doveva essere assoluta periferia.
Il “Campo della cava”, a ridosso della zona di estrazione dell’argilla della fornace, non è più sufficiente per contenere la passione sempre più smodata verso quella diavoleria moderna che è il “football”.
E’ uno sport, quello, più divertente delle bocce, più appassionante della ruzzola ed epico quanto il ciclismo; anche perché consente di difendere il buon nome, ed il prestigio del paese nelle sfide con i rivali del circondario. Una partita con il San Giovanni finisce con la vittoria dei biancorossi per 7-2, nonostante i dirimpettai della Val d’Asso abbiano avuto il permesso di schierare, nel secondo tempo, dodici calciatori anzichè undici.
Non esistono campionati, né tantomeno tornei: si gioca a pallone, sfidando occasionali avversari, in partite organizzate dall’oggi al domani, ma il risultato è sempre lo stesso: con lo squadrone di Torrenieri non si passa, e i biancorossi dimostrano una civiltà e una cultura sportiva irraggiungibile per tutti.

Tutto fa brodo, insomma, per dimostrare anche nello sport di essere una specie di “ombelico del mondo” dove la qualità della vita è nettamente superiore.
Alla domenica, il “passeggio” è frequentatissimo: gli stipendi della fornace danno abbastanza sicurezza per vestirsi come Cristo comanda, e anche dalle campagne sciamano a frotte per santificare la domenica. E per raccontare del “Sor Marchese”, del “Sor Fattore” e di quelli di Scannelli, che hanno raggiunto la cifra record delle “cento moggia di grano” e forse li chiameranno a Siena per l’encomio solenne. Un giorno passa di lì il grande Orio Vergani, che scrive sul Corriere della Sera, e rimane a bocca aperta: “Il corso di Torrenieri è una Champs Elysèes in miniatura”.
Il Cavalier Crocchi bada agli affari, e non si interessa molto al calcio: tranne quando lo informano che il Torrenieri sfiderà la squadra di Bettolle, che è finanziata dal collega (e rivale) Arrigo Tempora.
Lì scatta la molla del prestigio personale, e dell’intera azienda, e bisogna aprire il portafoglio. Così, a vestire la maglia biancorossa arriva nientemeno che Alfredo Pitto; proprio quello che si trova nelle figurine del cioccolato Majestic e del brodo Liebig. Pitto è un campione, e gioca a fianco di Meazza nell’Ambrosiana Inter, e figurati se non ci scappa di segnarne comodamente tre: così, Torrenieri batte Bettolle, ma sarebbe più giusto dire che le Fornaci Crocchi hanno battuto le Fornaci Tempora 4-0.

Ma il quieto vivere sta finendo, perché in lontananza si avvertono ormai i tamburi di guerra.
Saranno anni durissimi, perché Torrenieri diventa obiettivo sensibile, e in più l’Esercito Tedesco ha il suo quartier generale proprio nel mezzo del paese: ma la gente ha anche bisogno di sorridere, e l’idea viene ad un tenentino biondo, che si inventa una partita tipo “Fuga per la Vittoria”.
E’ il marzo del 1944, e in nome “dell’amicizia Italo-tedesca” si gioca (davanti alle Autorità) l’incontro di calcio Torrenieri-Germania; la gente si affolla intorno al campo per rivedere le casacche biancorosse, quando, improvvisamente, uno scoppio assordante fende il cielo primaverile. Un attacco? Un attentato? Un bombardamento?
I militari tedeschi, in maglietta e pantaloncini, imbracciano in tutta fretta i fucili e le mitragliatrici e circondano il podere dove è scoppiato l’ordigno. Da dove esce fuori un contadino, pallido in volto e con le mani alzate; e promette di aggiustare quanto prima il motore del suo trinciaforaggi, che effettivamente fa un po’ troppo rumore.
Dalla tragedia sfiorata al sospiro di sollievo… La partita ricomincia e il Torrenieri, naturalmente, vince.

La guerra finisce, e non c’è niente di meglio dello sport per sentire la vita che torna a fluire. La ricevitoria Sisal è l’anticamera del paradiso, in un paese dove tutti sono intenditori di calcio, e poi c’è il passaggio delle Mille Miglia è un vero e proprio evento che serve anche ad annunciare l’arrivo della bella stagione; e la gente si affolla nei campi che guardano le curve di “San Giuseppe”, di “Borronzoni” e dei “Galluzzi”, dove le automobili sono impegnate in un tratto particolarmente spettacolare.
Poi c’è la squadra di calcio, che difende i colori biancorossi di Torrenieri… Anzi, del Club Italia Torrenieri , che partecipa al campionato ufficiale UISP, ed è l’unica rappresentante senese, insieme alla Chiantigiana di Gaiole.
E’ un girone bellissimo, e prestigioso: in anni dove quasi tutti i paesi limitano lo sport alla corsa nei sacchi, o al palo della cuccagna, Torrenieri si batte nei campisportivi di Grassina, Pontassieve, dell’Affrico Firenze e della Rondinella Marzocco. E affronta le trasferte in un Italia dove si stanno ricostruendo strade, ponti e ferrovie.
C’è, al centro dell’attacco, un ragazzino sveglio e imprendibile che sembra bravo quanto il grande Veleno Lorenzi, dell’Inter: si chiama Silvano Ciolfi, segna gol incredibili e sarà uno dei primi biancorossi ad entrare nella leggenda… Se andate a Torrenieri, e chiedete di “Bramino”, troverete anche adesso un bel po’ di gente che si asciugherà una piccola lacrima, e si toglierà il cappello. Poi c’è il fenomenale Ottorino Migliorini, che è bravissimo nel gioco aereo: gioca con un fazzoletto bianco sulla fronte, alla maniera dei “centralf” inglesi, ma non per vezzo. Solo per evitarsi una trapanazione del cranio ad ogni colpo di testa, con quelle cuciture sul pallone che sono pericolosissime.
Bramino, Ottorino e Sergio Pini, che la Fiorentina acquista nel ’53 per la cifra record di 800.000 lire (28.000 lire è lo stipendio medio di un operaio delle fornaci): e che sarà uno dei protagonisti del famoso “Mantova dei Miracoli”, con Sormani, Zoff e Schnellinger.

Esplodono, intanto, gli anni del “boom economico”: quando si abbassano le sbarre del passaggio a livello, la fila delle automobili è interminabile e i ragazzi del posto fanno a gara per riconoscere gli ultimi modelli. La Giulietta Sprint, la Lancia Aurelia e naturalmente la Fiat 600 e la piccola 500, che sono le auto simbolo di una nazione che si è messa la guerra alle spalle e adesso produce più (e meglio) dei Tedeschi e dei Giapponesi.
Il Circolo Arci ha ingrandito i locali, ed è nato il Cinema Italia ed una sala da ballo meravigliosa che è frequentatissima dai giovanotti di tutte le latitudini: Achille Togliani, Gino Latilla, Giorgio Consolini sono cantanti da “tutto esaurito”, e la televisione (e le riviste) stanno creando divi a getto continuo… Arriva Johnny Dorelli, che ha appena vinto Sanremo in coppia con Domenico Modugno, e si paralizza l’intera provincia. Qualche anno dopo toccherà a Gino Paoli, e poi ai “Giganti” che nel 1965 vengono a presentare il loro nuovo disco “Una ragazza in due”: e Torrenieri gli porterà fortuna, perchè dopo tre settimane quel motivetto è al primo posto in hit parade.

E poi il pallone, che rimane il fiore all’occhiello di quel paese che sembra baciato da Dio. Dentro quel piccolo, meraviglioso fortino che adesso non è più periferia, ma si trova incastonato nel bel mezzo di un paese che è cresciuto, ed ha preso a costruirgli case tutto intorno.
Nel ’59 nascono ufficialmente i campionati dilettanti FIGC, ma quello che piace (e che rende il calcio irresistibile) sono i Tornei Estivi: quelli dove il campanile la fa da padrone e per una partita si smuovono comunità intere, come le carovane del vecchio West.
Il Torneo del Garbo, ad Asciano, e la Coppa Fortezza, a Montalcino, sono gli appuntamenti più irrinunciabili e vi partecipano i calciatori più famosi dell’epoca, che vengono pagati a peso d’oro. Mauro Bettarini, lo Scheggi di Paganico, il Barabesi, il Brandini, il Corradi sembrano entità sovrannaturali, nella fantasia ingenua degli sportivi dell’epoca.
Il Torrenieri partecipa, e spesso vince. Perché adesso quasi tutti hanno la squadra, ma solo i biancorossi hanno una tradizione così importante… Un bel giorno, a Montalcino, organizzano un nuovissimo Torneo dei Bar; e la superiorità è così schiacciante che le due squadre di Torrenieri giungono agevolmente in finale. Ma la coppa in palio è così bella che sembra uno spregio doverla consegnare agli acerrimi rivali, e allora viene prontamente sostituita da un’altra, di più modesta fattura.
Quel fantastico trofeo ricomparirà magicamente l’anno successivo, quando avrà luogo una finale più indolore tra il Circolo Arci di Buonconvento e la Trattoria Il Leccio, di Montalcino.

Nel ’68 parte finalmente l’avventura in terza categoria, e l’attesa è davvero notevole. Il calcio sta diventando adulto, e i campionati federali promettono di saziare gli appetiti sportivi dei paesi, che non si accontentano più delle ribalte estive.
Il 72-73 è l’anno della svolta, e la formazione è di quelle che restano nella memoria come tracce luminose: in porta, il grande Silvano Terzuoli, gigantesco deltaplano che giocherà fino alla soglia dei quarant’anni, ed entra di diritto tra i cinque interpreti del ruolo più grandi di tutti i tempi. Franco Migliorini, che è “figlio d’arte”, e Alighiero Falciani, che di testa non ne sbaglia una. Carlo Gagliardi, che a Torrenieri ha messo su famiglia e ogni tanto accompagna al camposportivo il suo piccolo Francesco… Che imparerà così bene da diventare, un giorno, il Capitano della Pianese che approda in serie C. Mauro Cerretani; poi Gori, il centravanti Baccani, Alberto Minucci, qualche comparsata del giovanissimo Romano Pasquini e infine lui: la star del gruppo… Che si chiama Duccio Bindi, ed ha classe immensa: superiore a tutti quelli (e sono tanti) che negli anni hanno scritto le glorie di da quel campetto che assomiglia ad Highbury, e di quel favoloso Club chela storia ha trasformato, negli anni, in una specie di simbolo: come l’Arsenal, che non a caso viene chiamato “pride of England”.
Con questo squadrone, i biancorossi approdano in seconda categoria; e ci resteranno per tanto tempo, consolidando un blasone ed un prestigio che rendono unico il profumo di quell’erba, e di quelle gradinate.
Ne verranno altre, di squadre memorabili… Ma nessuno saprà eguagliare, nel ricordo emozionale della gente, i ragazzi del 1973.

La storia continua, e sarebbe un vero peccato farla finire qui… Perché il Torrenieri-Arsenal continuerà a sfornare campioni pazzeschi, nel corso degli anni ottanta e novanta: il libero Fabbricotti, da Montefollonico, e il grande Morgantini, da Sarteano, che adesso ristruttura casali. Franco Rosas, il bomber Maurizio Cecchini e Mitri Pistoi, acquistato dal San Quirico di Foffo Mangiavacchi per cinque milioni più centomila lire (e fatevi raccontare, un giorno, la storia di quelle centomila lire). Ceccherini, Stella, Delle Macchie, Burgassi, Battenti, Massimo Nonni e persino Izio “Psyco” Scarpellini.
Sono gli anni del “Torneo Asso”, che richiama a Torrenieri valanghe di appassionati, e che sarà l’ultima grande manifestazione estiva della provincia ad arrendersi, e ad ammainare le vele. Gli anni di Beppe Scarpelli in panchina, e poi di Aurigi e Del Santo: l’Ascianese Maccari, Romi, Turillazzi e i celeberrimi “ragazzi della Pistina”… Che sono Biro e Pippo Armini, Daniele Rappuoli, Gianluca Ciacci e tutta quella nidiata che ha cominciato a tirar calci in quel leggendario campetto in cemento: che è una specie di luogo dell’anima, e sta al Torrenieri come il piccolo quartiere del Caminito, a Buenos Aires, sta al Boca Juniors.

Oppure, i biancorossi del 2002, con Mauro Bini in panchina e lo studente belga Dieter Verbeke: e quella incredibile promozione sul filo di lana contro la Virtus Chianciano, che non ha mai grande fortuna quando gli spareggi si giocano a Montepulciano.
E infine la cavalcata del 2018, con il braccio di ferro con l’Orbetello e la conquista della Prima Categoria con il grande Roberto Pasqui e Giacomone Palmi (che si fa male sul più bello): Mucci e Lopez, Anichini e Saladini e ovviamente Camillo Bindi (“il figlio di Dio”) e David Carone (“Il Boa”).

Ora, ci sarebbe voluto molto più spazio per raccontare una storia come quella dell’US Torrenieri. Che profuma di leggenda, occupa quasi un secolo di storia e (come spesso succede) vive una simbiosi perfetta con il paese e la comunità che in quella piccola squadra di calcio ha saputo riconoscersi, fino a farne un vanto, ed un orgoglio.
Ricordo Silvano Ciolfi (proprio lui, il “Bramino” degli anni ’50) che guarda nervosamente l’orologio al Bar dell’Angolo, proprio davanti alla chiesetta di San Rocco.
E’ una giornata invernale freddissima, il cielo minaccia neve e lui è già malato. Però, non rinuncia alla partita: “Perché –dice- una domenica senza i biancorossi, non è nemmeno domenica.”
Mi piace pensare che il nostro Torrenieri-Arsenal, nel suo piccolo campetto-Highbury, continui a giocare per quelli come lui.

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