Storie di un calcio piccolo: la rubrica settimanale di Riccardo Lorenzetti

“La partita del secolo”.
All’epoca fu battezzata così.

Una roba da lapide, come allo stadio Azteca di Città del Messico: perché l’importanza storica di quello spareggio non sfuggì a nessuno. Come quelle congiunzioni astrali che si verificano una volta ogni mille anni.
Soprattutto, non sfuggì la particolarità dell’evento, che prese le due squadre più importanti degli anni novanta, e le piazzò davanti ad un finale cinematografico, come “Highlander”. Dove si combatte l’ultimo duello a colpi di spada, finchè “Ne resterà soltanto uno”.

Fu, al netto delle emozioni, l’Italia-Germania 4-3 del nostro calcio: che mise l’una davanti all’altra le due squadre più celebri (con il San Quirico di Tintisona) dell’intero decennio… La Virtus Chianciano, con l’età dell’oro di Mario Naldi e poi la clamorosa epopea in Serie D, intervallata dalla stagione boom, in Eccellenza, con “il Mitico” Renato Villa.
Il Chiusi, con il doppio salto dalla prima categoria all’Eccellenza, con una squadra diventata filastrocca (“Augero-Baglioni-Galli…”) e poi un’infornata di campioni assoluti che avrebbero colorato per anni le fantasie biancorosse: Peruzzi-Calabrò, d’accordo, ma anche Marco Panella, e Beppe Olimpieri. Magi, Renzoni, Migliorini (che rinviava fino all’area di rigore avversaria) ed Enrico Bigonzino, bulldog azzannapolpacci del centrocampo.

Chianciano e Chiusi arrivarono, in quel 1997, davanti al bivio decisivo.
Ma si capì immediatamente che dall’esito di quella drammatica partita dipendeva il futuro dei Club, se non addirittura la loro stessa sopravvivenza.
La Virtus aveva ormai perso per strada quasi tutto l’entusiasmo dei suoi anni più folli: Ugo Cardia era più che mai “un uomo solo al comando”, alle prese con una fronda cittadina che aveva fondato, nel frattempo, una società concorrente. Che, a cominciare dal nome (Vigor Chianciano) era apparsa una specie di sberleffo.
Il Chiusi viveva, con la presidenza Franco Dalbello, una gestione low-profile con particolare attenzione alla cassa, che le precedenti stagioni avevano portato sotto il livello di guardia.
Ricordo una trasmissione televisiva dove lancio una domanda spericolata a Nario Meacci: “Il Chiusi attuale assomiglia all’esercito Finlandese del ’39 o piuttosto all’armata del Sud Virginia del Generale Lee?”.
Il grande Direttore Sportivo mi guarda perplesso, rimane in silenzio una decina di secondi e poi si inventa una risposta da applausi: “Decidi tu… Io, intanto, chiamo il 118.”

Ma per parlare della “partita del secolo” bisogna cominciare dall’antefatto, ovvero l’ultima giornata del campionato di Eccellenza, 96-97 che arriva domenica 21 aprile.
E’ stata una stagione dominata dal Castelfiorentino di Ennio Pellegrini (il libero con i baffi della Fiorentina di Antognoni) e molto incerta in coda, dove i playout non sono stati ancora inventati, ed allignano i cattivi costumi.
Il Tegoleto e lo Scandicci hanno un piede e mezzo nel baratro, ma resta da giocarsi l’ultimo posto disponibile per la retrocessione: sono almeno in cinque a tremare, e tra queste il Chiusi e la Virtus Chianciano, che vi arrivano con situazioni diverse.
I biancorossi hanno dilapidato un patrimonio di punti che li aveva tenuti lontani dalla zona pericolo, e sulla panchina ha piazzato Andrea Baglioni che sta facendo mirabilie con la squadra Juniores, e prende il posto dell’esonerato Marco Proietto.
La Virtus vive la stagione più difficile degli ultimi trent’anni. Cardia sente il pavimento che scricchiola sotto i piedi, ma confida nella sua buona stella: e poi ha preso gusto con i colpi ad effetto, come quello del Mitico Villa, che gli danno visibilità a livello nazionale. Così ripropone lo stesso numero, ed il coniglio che fa uscire dal cilindro è Gianluca De Ponti, che arriva a metà stagione a sostituire il deludente Bracchini.

Ma “Gil” De Ponti non assomiglia nemmeno lontanamente al Mitico Villa, che arrivava in Mercedes con tutto il caravanserraglio al seguito.
Come curriculum gli sarebbe addirittura superiore, con i suoi eccellenti trascorsi tra Cesena, Avellino, Bologna e Sampdoria; ma la vita ha anche i suoi rovesci, ed il Gil che si presenta a Chianciano non è il campione delle figurine Panini.
E’, invece, un uomo un po’ stralunato, che guida una scassatissima Volkswagen Polo di terza mano e sta cominciando la lunga, difficile battaglia contro una malattia che, tra errori medici e altro, finirà nelle aule del tribunale.
Abita in Valdarno, e né lui (né la sua automobile) possono garantire al momento più di due viaggi settimanali, e bisogna accontentarsi. La Virtus si trova così ad affrontare la fase più delicata della sua storia con un regime di allenamenti da squadra del sabato amatoriale: ma il miracolo incredibilmente accade, e quella Virtus ormai spacciata mette insieme un clamoroso filotto di vittorie che gli consentono di agguantare, in quel fatidico 21 aprile, il treno delle avversarie.

E l’ultima giornata è pur sempre un’ultima giornata; anche nel 1997, quando Titanic è campione d’incassi al cinema, i Daft Punk e i Prodigy impazzano in discoteca e con diecimila lire mangi più che decentemente in qualsiasi pizzeria.
Le quattro pericolanti, manco a dirlo, vincono tutte… Il Lanciotto Campi fa fuori la Cerretese e l’asfittico Certaldo (che ha il peggior attacco del girone) ne rifila tre alla Figlinese, che ha la difesa meno battuta. E d’altronde il Chiusi ne fa quattro al Firenze Ovest, con la tripletta di Calabrò, che è tornato in biancorosso dopo la parentesi Pianese. Mentre il Chianciano vince a San Quirico all’85, ed il gol è di Gabriele Paffi. Che assomiglia a Keith Moon (il batterista degli Who) ed è amicissimo del grande Gerry Cavallo.
Ineffabilmente, le quattro piombano sul filo di lana a 32 punti, ma la classifica avulsa ne può salvare solo due. E disgraziatamente, non sono le nostre.
Trenta giornate, 240 partite e più di ventimila minuti giocati non sono bastati ad evitare la temutissima congiunzione astrale, che puntualmente si verifica: la pallina della roulette si ferma sullo zero, e sarà spareggio tra Chiusi e Chianciano, allo stadio Bruno Bonelli in Montepulciano.

Sarà “La Partita del Secolo”. E la Federazione invierà a dirigerla il suo arbitro più promettente; un giovanotto di ventitre anni che si chiama Gianluca Rocchi e diventerà un giorno, con 263 direzioni, il recordman di presenze in serie A, dopo il leggendario Concetto.

Il pomeriggio è caldo, ma non infernale; il pubblico ha una leggera prevalenza viola, che per l’occasione ha rispolverato il glorioso striscione “Indians”, testimone di tanti successi negli anni precedenti. Quelli di Chiusi sono in minoranza, ma fanno più rumore.
Gil De Ponti (squalificato) imposta la Virtus come il Parma di Nevio Scala, che ha inventato la difesa a tre ed è, tatticamente, l’allenatore del momento. Carmelo Genovasi ne è il regista arretrato (Minotti), Orso Canapini e Guitarrini sono Grun e Apolloni, i due marcatori. La vera chiave strategica, però, sono i due esterni che devono essere protagonisti in difesa e in attacco: nel Parma sono Benarrivo e Di Chiara, che diventeranno celebri. I loro omologhi in viola sono Paolo Zancanella, di Tirrenia, e Mauro Galli, che è un cavallo di ritorno dopo gli anni di Chiusi e Pienza.
A centrocampo guida Tonino Stilo con Gianluca Grosso a fare da guardaspalle e il citato Paffi come guastatore; davanti c’è il centravanti Mariani, con un estroso ragazzino che Gil De Ponti ha scovato nelle giovanili. E ne ha così tanta fiducia da consegnargli quella che in Brasile chiamano “la maglia del matto”: la numero sette (la stessa di Garrincha), che tocca al genio anarchico capace di risolvere la partita con una giocata. Quel ragazzino viene da Montepulciano, ha ventuno anni e si chiama Simone Trabalzini.

Il Chiusi di Andrea Baglioni ha un mostro sacro come Mirko Guerrieri in porta e una difesa abbastanza classica impostata su Luca Cardo e Villamena centrali, Stella e Pantini laterali. Lucarelli davanti alla difesa, il classico Imbimbo vertice alto e i giovani Lisi e Coleschi a correre per tutti. In attacco, Salvatore Calabrò è ovviamente il sorvegliato speciale e il nemico pubblico numero uno, ma più di lui risulterà decisivo il tipo che gli gioca accanto… Un piccoletto funambolico che viene da Badia Agnano, ed ha la contraddizione fin dalla carta d’identità: con il nome che ti fa guardare il cielo (Alan) e il cognome che più terra non si può (Erpici).

Le maglie sono ovviamente brutte, in linea con il gusto dell’orrido che tocca, nel decennio 90-2000, il suo punto più alto, e la partita stenta a decollare, come un’Italia-Germania che si rispetti.
In campo ci si mena assai allegramente, con il Chiusi più vivace ma con poca benzina nel serbatoio: emblematica la smorfia di Andrea Baglioni (ripresa dalla tv) quando dopo nemmeno mezz’ora vede Lisi a terra, alle prese con i crampi al polpaccio.
La Virtus, dal canto suo, non si scopre e delega al solo Trabalzini gli unici lampi che possano accendere la gara.
In pratica, non succede quasi niente fino al 70’, quando il Chiusi flette, e l’inerzia passa dalla parte viola: ad un quarto d’ora dalla fine, Stilo pennella un lancio che Galli addomestica dentro l’area di rigore e poi mette in diagonale sul secondo palo. Cardo e Villamena sono in ritardo, ma non Mariani che piazza il classico tap-in sottorete.
L’1-0 è una specie di pietra tombale sulla partita: il Chiusi ha la spia accesa da diversi minuti, e alla Virtus basterà una gestione appena oculata per tenerne a bada le residue energie. Ma non sarebbe Italia-Germania se non spuntasse fuori, quando meno te lo aspetti, lo Schnellinger di turno che si inventa il numero quando tutto sembra finito.
Siamo a dieci minuti dalla fine, e Alan Erpici (pur non essendo né biondo, né crucco) riceve un passaggio lungo da Lucarelli; difende il pallone, e guadagna quei tre metri necessari per entrare dentro l’area di rigore dove Guitarrini (oh, l’ingenuo!) abbocca al tranello e gli plana sulle caviglie. In questi casi, il manuale del perfetto difensore prescrive di temporeggiare, ed accompagnare l’avversario sul fondo campo, fino a renderlo inoffensivo… Ma non sarebbe Italia-Germania, ed il colpo di scena regala ad Edo Imbimbo il rigore dell’insperato 1-1.
Mancano meno di cinque minuti, e lo spettro dei tempi supplementari è più che palpabile: ma il destino cambia cavallo, e posa di nuovo gli occhi su Gabriele Paffi, come a San Quirico quindici giorni prima. L’ultimo lancio disperato dentro l’area di rigore (“in the box”, dicono gli Inglesi) lo trova stretto a sandwich tra tre avversari, e a Rocchi basta constatare la minima pressione per assegnare il rigore.
Mancano quattro minuti alla fine, quando Carmelo Genovasi piazza la palla sul dischetto… Genovasi viene da Lecce, è il leader riconosciuto della squadra e non sbaglia un rigore dai tempi del Chievo Verona, sette anni prima. E continuerà a non sbagliarli nemmeno negli anni successivi, quando sarà il trascinatore del Pienza. Ma sta scritto, da qualche parte, che debba finire in un altro modo: e quel rigore che gli Dei del calcio offrono alla Virtus per scappare dal destino segnato finisce innocuo nel braccio di richiamo di Mirko Guerrieri, che non si deve nemmeno impegnare tanto nella respinta.

E così, Italia-Germania finisce ai supplementari, come la storia impone. Mentre il sole sta calando su Montepulciano, e il chiassoso luna-park del fierone ha già acceso le luci delle giostre.
C’è un’occasionissima di Trabalzini, al 114, che però si trova davanti la prodezza di Guerrieri, che devia in angolo. Infine, al minuto 116, un rigore grande come una casa su Mariani, che viene strattonato, e affossato da Villamena proprio sotto il naso dell’arbitro Rocchi: che però ha già dato, e stavolta fa cenno di proseguire.
Sono, queste, le due ultime chance che il calcio offre alla Virtus. Da lì in poi tocca al destino, e alla panchina viola che effettua (al 117) la sostituzione “maledetta”: il portiere di riserva Bacci, al posto di Rinaldini.
Lì per lì sembra addirittura una mossa intelligente: Bacci è portiere d’esperienza, e (si dice in tribuna) risulterà più freddo del suo più giovane collega nei calci di rigore. Ma il regolamento parla chiaro, e quel cambio lascia la squadra viola senza i necessari fuoriquota.
A quel punto, “Tutto è compiuto”, come è scritto nel Vangelo.

I rigori si mettono subito male per il Chiusi, “tradito” dai suoi uomini migliori: Calabrò e Luca Cardo, che spara altissimo (“il rigore finisce a Sant’Albino”, commenta Ignazio Cesaroni, a TeleIdea). Mentre dall’altra parte Galli, Trabalzini e Paffi fanno filotto e mettono Genovasi nelle condizioni di prendersi una personale rivincita, siglando il rigore che fissa il risultato sul 5-3.
E’ finita.
In casa Virtus è festa grande, per una salvezza colossale e per la soddisfazione di spedire all’inferno gli storici rivali… Che però hanno fiutato qualcosa di strano, ma qui le fonti storiche divergono, e propongono diverse interpretazioni: la più attendibile attribuisce il merito a Mister Andrea Baglioni, che ha dimestichezza con i regolamenti e realizza l’inghippo mentre sta tornando mestamente a casa. Altri accreditano il povero Marco Agostinelli o addirittura il giornalista Lorenzo Bargi, al momento di stendere il pezzo per il Corriere di Siena.
Il reclamo parte la sera stessa, mentre la Virtus sta festeggiando il successo alla discoteca La Capannina.
A Tele Idea va in onda uno speciale che dovrebbe essere una specie di Te Deum e si trasforma, invece, in una Messa da Requiem.
La frittata è talmente colossale che telefona in diretta Ugo Cardia, in persona, nel tentativo di minimizzare l’accaduto… Ricordo il volto terreo di Enzo Merli, che è ospite in studio. E’ stato arbitro di alto livello, conosce le carte federali e scuote la testa: “Se le cose stanno così, siamo spacciati. Due a zero a tavolino per loro”.

Ed è proprio lì, sui tre minuti fatali di Bacci-Rinaldini, che finisce l’epopea della Vitus Chianciano.
Per uno scherzo del destino, verrebbe da dire. Ma il destino, a volte, non è cieco, e sa benissimo dove colpire… “Ci fosse stato un Bruno Cesarini, non avrebbero combinato quella nefandezza” , si dice. Ma il fatto che non ci sia più un Bruno Cesarini (e nessuno che lo sostituisca degnamente) la dice lunga sulla parabola di quel Club, che era stato capace di scrivere un pezzo di leggenda, e adesso non era quasi più nulla.

Il Chiusi, scampato il pericolo, riprenderà la corsa: e tra cinque anni salirà in serie D, con Claudio Bigi al timone e Gustavo Capponi in panchina.
La Virtus retrocederà d’ufficio in Promozione: poi, a metà stagione vedrà andarsene tutti i calciatori, che lamentano rimborsi spese mai pagati, e scenderà in campo con la squadra Allievi. Poi, non si presenterà nelle successive tre partite, e verrà definitivamente cancellata dal campionato.

E fu questo l’ultimo, tristissimo verdetto.
Sette mesi dopo la cosiddetta “Partita del Secolo”.

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